giovedì 31 dicembre 2009

DISCORSO DI FINE ANNO

Poche parole per segnare la fine del 2009, un anno che ha segnato l'ennesimo fallimento sulla conferenza sul clima, credo che dovremo sperare solo sull'aumento della crisi, ultima speranza per diminuire i consumi mondiali, da qui l'equazione, niente soldi = niente consumi.
Mai un pensiero sulla terra che possediamo, non ereditata dai nostri padri ma avuta in prestito dai nostri figli.
Comunque ho consultato le stelle e quello che predicono per quest'Italia mediocre, bacchettona e bigotta sono scintille, troverà l'amore con la U maiuscola, avrà successo, denaro, fortuna, ........, speriamo solo di avere culo e cavarcela.
Auguri di buon anno a tutti quelli che mi leggono con la speranza di un 2010 migliore fra i nostri anni migliori.
Mauri

giovedì 24 dicembre 2009

UNA STORIACCIA

Voglio fare gli auguri di buone feste a tutti quelli che hanno avuto la pazienza di leggermi quest’anno e lasciarvi con un pensiero, un dubbio, se succedesse stanotte, la notizia riportata da qualche agenzia stampa risuonerebbe più o meno così:
Trovato anziano con una minorenne e un bambino in una fabbrica abbandonata, grazie ad un pentito è stata fatta una magnifica operazione antiprostituzione, antidroga, antipedofilia e antisequestro, la brillante operazione è stata effettuata nella notte dal gruppo catturandi, dalle teste di cuoio, dalla milizia, dal gruppo tributario, praticamente tutte le forze coordinate dal ministero interno, l’operazione ha avuto luogo a ……. (ometteremo il nome del paese per la privacy) gli arrestati hanno dichiarato che non hanno trovato posto negli alberghi della zona perché tutti pieni (ma non c’era la crisi) e hanno dovuto sistemarsi in un posto di fortuna.
L’anziano di nome Giuseppe è stato tratto in arresto perché sicuramente un pedofilo in quanto viaggiava con una minorenne, la minorenne (sicuramente destinata al mercato della prostituzione) di circa quattordici anni portata nel carcere minorile accusata di sequestro di minore, ha dichiarato di avere partorito, ma i medici da un sommario esame l’hanno trovata vergine, il bimbo appena nato è stato trasferito in una struttura protetta lontano dalla zona, in attesa di trovare i veri genitori.
Sono inoltre state segnalate alla questura come abituali consumatori di sostanze stupefacenti un numero imprecisato di immigrati, disoccupati, lavoratori a progetto, cassaintegrati che hanno dichiarato di trovarsi in loco ad adorare il bambino ed erano stati mandati da un angelo vestito di bianco con due grandi ali, è al vaglio degli investigatori il tipo di sostanza usata vista l’allucinazione collettiva, al tempo stesso sono accusati anche di spaccio visto che il loro reddito non gli permette l’acquisto di sostanza stupefacente sicuramente sono anche spacciatori.
La notizia sorprendente però è arrivata da Trieste dove alla frontiera sono stati fermati tre individui che hanno raccontato delle panzane enormi su una stella e un bambino (quello mandato in una struttura protetta), uno tentava di portare in Italia dell’oro gli altri due delle sostanze che si ritiene siano stupefacenti, sono stati tratti immediatamente in arresto con l’accusa di introduzione illegale di metallo prezioso evadendo le leggi e le tasse del nostro paese, inoltre sono accusati di possesso ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti e visto che vengono da est si sospetta che facciano parte di qualche organizzazione terroristica, e probabilmente venivano in Italia per preparare un attentato si suppone che l’oro servisse ad acquistare il necessario per preparare una bomba, sono inoltre accusati dei reati di avvio alla prostituzione e al commercio di bambini visto che chiedevano notizie del bambino sopra menzionato e della ragazzina minorenne di nome Maria.
Sicuramente questo è un intrigo internazionale e sono già state allertate le polizie di mezzo mondo per cercare di sedare questo gruppo dedito ai più nefandi abomini.
Auguri di buone feste dal vostro corrispondente che invece di stare in famiglia per le feste ha dovuto seguire questa storiaccia, in mezzo a tutte le difficoltà di questi giorni treni che non partono aerei che non decollano e un tempo che fa le bizze (a proposito quà si è passati da -12 a +15, storie dell'altro mondo.

domenica 20 dicembre 2009

API SOTTO LA NEVE

Non è una gran notizia la nevicata di questi giorni, visto che ha nevicato in mezza Italia e tutti ne hanno aprofittato per scattare foto e così ho fatto anch'io andando a vedere come era la situazione delle api.
La temperatura notturna di queste ultime due nottate ha toccato i meno dieci gradi (un freddo cane), le previsioni dicono neve anche per domani ma poi le temperature dovrebbero salire e la neve andare via.
Comunque oggi qualche ape era in volo, giusto per pulire l'intestino e non defecare dentro l'alveare e si possono vedere che alcune aprofittano del sole per scaldarsi da dietro il vetro visto che la temperatura esterna nonostante il sole è prossima allo zero termico.


Poi visto che avevo voglia di cazzegiare sono andato fino al passo della Cisa quota 1040 metri, il clima è molto più natalizio qua che lungo le vie dello shopping, qua si gela e ci vuole un bel tè caldo, ma andrebbe bene anche una cioccolata calda con tanto di panna montata, oppure vin brulè, i due bar sono aperti e a dispetto della giornata domenicale ti servono subito, non ci sono clienti in giro, non avranno mica preso paura per un pò di neve e un pò di freddo?


Non potevo fare a meno di fotografare questa bella pianta di kaki, nessun raccoglitore urbano e extraurbano che abbia pensato a raccogliere queste delizie che sono rimaste là, ma statene certi, nessun frutto cadrà a terra, ci pensano gli uccelli che lo usano come self service sempre pronto all'uso, a maggior ragione ora che si fatica a trovare cibo a terra.


Sono rare le rose a dicembre, sarà che forse il freddo le attanaglia?

giovedì 17 dicembre 2009

CALICANTO


Io lo chiamo il fiore della speranza, perché il calicanto è una pianta eccezionale, appartiene alla piccola famiglia delle Calycanthaceae , quello fotografato è il calicanto praecox, originario dell’Asia, il nome deriva dal greco e significa “fiore d’inverno”, porta foglie decidue, il che sta a significare caduche ma con la caratteristica che cadono e seccano a terra. Pianta rustica e resistente al freddo, predilige posizioni soleggiate, ma riparate. I fiori sono di colore giallognolo con screziature e sfumature porpora o rosso-brunastre. Il vento e il freddo di questi giorni non hanno ancora fatto cadere tutte le foglie e i boccioli si stanno ingrossando per dare una copiosa e profumatissima fioritura che inizierà verosimilmente a partire da metà gennaio, chi passa nei dintorni della pianta prima sentirà il profumo intenso e poi vedrà i fiori, e se avremo la fortuna di avere la neve, sarà uno spettacolo vedere questi fiori sotto la neve. Uno spettacolo unico, per questo lo definisco il fiore della speranza, un fiore sbocciato quando non ve ne sono, che sfida il rigore del gelo e del freddo, la speranza di un domani, che arrivi la primavera, la nuova stagione, anche se siamo in pieno inverno, una speranza che non muore mai.
Con il post di oggi tolgo le restrizioni sui commenti e li rendo liberi da ogni vincolo, credo sia giunto il momento, i filtri che esistevano finora sapevano troppo di schedatura e censura, resta il fatto che mi arrogherò il diritto di cancellare quelli offensivi e volgari (visto che questo è il mio blog).
Il perché di questa scelta lo spiego qua sotto:
cos’è successo in questi giorni nel mio orto?, un sacco di cose strane, in primo la comparsa di alcuni volantini di cui darò conto dopo, ma veniamo ai fatti:
In questo periodo è al potere nel mio orto la coalizione delle piante a tubero, che cercano di creare un sistema bi-orticolo con le piante che in questo momento sono all’opposizione in quanto minoranza quelle a foglia,
aglio e cipolla in questo momento non si sono ancora schierate e fanno gruppo a se, il clima è teso e lo scontro è molto forte, ma ad aggravare il tutto ci pensano i giornali come MICELIO giornale dell’area extraorticola che semina spore a 360 gradi e questo crea motivi di scontro all’interno del sistema, ma anche gli organi di stampa schierati alimentano il gelo tra le opposte fazioni, il giornale TUTTOTUBERO in questi giorni scrive articoli violenti contro le piante a foglia e a tutta risposta l’organo TUTTAFOGLIA non è da meno, ma la cosa grave è la comparsa come dicevo poc’anzi di volantini a firma Famiglia Arbusti Infestanti che minacciano di spandere i loro semi e le loro radici nell’orto il loro sedicente capo Rovo è tuttora ricercato.
Altri organi di stampa come RIZOMI non si sono ancora pronunciati, in attesa che io entri nell’orto e a colpi di zappa porti un po’ di ordine, le forze speciali e i SSO (servizi segreti orticoli) stanno dando la caccia a una serie di piante clandestine entrate illegalmente nell’orto, una volta scovate verranno messe in appositi contenitori guardati a vista nell’attesa di essere rimpatriate.
Da tutto questo capite la mia preoccupazione.
A dimenticavo il vertice sul clima a Copenhagen,
riportava il Telegraph autorevole giornale estero che il numero di limousine in circolazione in occasione del summit ha superato il numero di 1200 e per soddisfare la domanda alcune sono state fatte arrivare anche dalla vicina Svezia e Germania in quanto non erano abbastanza quelle circolanti in Danimarca per soddisfare le varie delegazioni, all’aereoporto sono arrivati 140 jet privati che una volta scaricato il loro carico sono stati mandati a parcheggiarsi all’aereoporto di Stoccolma in attesa di tornare a recuperare i Leader, la speranza viene da quelli che hanno noleggiato le auto ibride, si la speranza viene da loro 5 auto ibride.
E Obama, presidente in guerra che ritira il nobel per la pace, vola a Oslo a ritirare il premio, poi torna a Washington per poi tornare a volare a Copenhagen, che guarda caso dista solo due ore d’auto da Oslo, ma ……, come fanno questi a decidere in maniera seria sul clima, mi sa che si faticherà a giungere ad un accordo, mi sembra più una gita di piacere che un incontro sul clima.

mercoledì 16 dicembre 2009

L’acqua e la pietra, di cui è ricca la Lunigiana, evocano i mulini, ma che ne è stato di loro?, l’incuria e il tempo hanno ridotto i più a un ammasso di macerie, le pietre ridotte a decoro esterno per abitazioni, ma vi è stato un tempo in qui questa terra aveva decine e decine di mulini, anzi centinaia di mulini ad acqua, ogni piccola comunità aveva un mulino anche quella più sperduta.
Cosa macinavano?, principalmente le castagne secche per ricavarne della farina, alimento tra i più importanti per il sostentamento di intere comunità, poi si macinava mais e frumento, ma in quantità molto minori in quanto questa terra non era votata alla coltivazione di questi cereali, soprattutto il frumento che bisognava importare dalla vicina Emilia.
Quella del mugnaio era un’arte che non si poteva improvvisare, si imparava dopo anni di pratica, e verteva su più conoscenze, da quella del legno con cui erano costruite le pale che l’acqua faceva roteare per girare le grandi e pesanti pietre o macine, era importante la scelta del legno e la sua lavorazione e stagionatura, in quanto le pale dovevano durare il più a lungo possibile e non marcire velocemente visto che restavano costantemente a contatto con l’acqua, doveva avere conoscenze sulla pietra che ogni tanto andava scalpellinata per ringiovanire le macine, doveva avere il colpo d’occhio su quello che andava a macinare per capire se era stato seccato al punto giusto in quanto castagne non seccate abbastanza avrebbero impastato le pietre e si sarebbe dovuto procedere a smontare le pietre per pulirle, doveva inoltre conoscere l’acqua e i suoi flussi.
Purtroppo oggigiorno queste conoscenze millenarie si sono perse, l’uso dell’acqua è andato perduto, i mulini superstiti su tutta la vallata si possono contare sulle dita di una mano e il loro funzionamento è per lo più, a scopo didattico.
L’elettricità e i mulini industriali hanno fatto il resto, un’energia a buon mercato e pulita è stata abbandonata e su questo dobbiamo riflettere in quanto abbiamo perso tutti qualcosa.
Questa come la possiamo definire?, archeologia contadina, abbandono, morte di un mulino o che altro? ....., o il tetro morire di un mulino, e cosa ne abbiamo avuto in cambio?, perdita della nostra storia della nostra memoria del nostro passato.

domenica 13 dicembre 2009

DICEMBRE, ... E LE API?

Dopo un'assenza forzata da internet a causa di impegni famigliari che hanno assorbito tutte le mie energie e tutto il mio tempo ritorno a scrivere un breve post sulle api, devo confessare che ultimamente ho trascurato sia l'orto che le api a causa di quanto detto sopra.
L'orto l'ho visitato domenica 6 dicembre sotto una pioggerellina fitta fitta e con una nebbia che toglieva l'orizzonte, alla mia comparsa nell'orto ho trovato un bellissimo capriolo che stava consumando le verdure, insalata e bietole in particolare, alla mia vista con due balzi si è sottratto alla mia vista, ma veniamo al tema : DICEMBRE, ... E LE API?
Giovedì 10 dicembre era una bellissima giornata di sole e ho deciso di prendermi un'ora per andare a vedere le api, una visita esterna per vedere se tutto era in ordine, premesso che le api si trovano a 760 mt. sul livello del mare, quindi in montagna, mi aspettavo di verere le api in volo per defecare visto che nei giorni scorsi era stato brutto tempo, solitamente nei mesi invernali l'attività dell'apiario è quasi nulla proprio a causa delle condizioni climatiche sfavorevoli e il tutto si limita a dei voli per pulire l'intestino e defecare all'esterno dell'arnia.
Ma con mia grande sorpresa, ho potuto notare che soprattutto un'arnia era particolarmente attiva e importava polline di colore giallo/arancio intenso, e molte erano le bottinatrici intente a questa operazione.
Cosa significa questo?, semplice che c'è della deposizione all'interno dell'alveare e sicuramente le api sono in buona salute, questo è avvenuto sicuramente anche complice il clima mite di questo fine autunno, anche se a rigor di cronaca devo segnalare che già una volta gli alveari sono finiti sotto la neve quest'anno, ma questo non ha impedito lo svilupparsi di covata.

Vista l'importazione del polline mi sono aggirato per il prato per vedere che fiori potevano mai trovare a 760 mt. in questo periodo, e con mia sorpresa devo dire che le fioriture anche se scarse, vista la stagione non mancano, ho trovato del tarassaco che ho fotografato con un'ape intenta nel bottinare, ma come si vede sopra, un'ape è in arrivo anche sui fiori di boraggine.
Altre fioriture che ho riscontrato sono, l'acetosella fotografata qua sopra, delle pratoline, qualche rara margherita, delle rose, dei tagete e anche del rosmarino che è un'ottima fonte per le api, ma ho potuto vedere api che ronzavano attorno a gemme di piante e a semplici erbe di prato non fiorite, probabilmente in cerca di melata.
Verrebbe da dire che questo è un'anno strano, ma io credo sia un'anno come un'altro, guardando i vecchi resoconti dagli untimi due secoli da queste parti ho potuto notare che si sono alternati inverni con periodi freddi e anche degli inverni insolitamente caldi (o meglio con scarsa discesa sotto lo zero), quindi penso che siamo nell'alternarsi normale del tempo e delle stagioni.

venerdì 20 novembre 2009

ORTO LASAGNA - VARIAZIONI SUL TEMA

L'orto lasagna che ho allestito ha bisogno di alcuni accorgimenti o meglio miglioramenti, premesso che l'ho posizionato in un terreno con una lieve pendenza e che il terreno sottostante drema molto l'acqua, ho riscontrato che le verdure della parte bassa crescono più rigogliose in quanto l'effetto delle innaffiature dura molto più alungo in quanto abbiamo due direzioni in cui va a confluire l'acqua, una discendente e una di scivolamento e questo crea dei piccoli problemi idrici nel periodo di maggiore siccità, alla parte a monte più elevata rispetto al resto dell'aiuola.
Pertanto cercando di ottenere un risparmio nel consumo dell'acqua e una più omogenea crescita delle verdure andrò a modificare la morfologia del terreno, ma cosa ancora più importante capovolgerò la struttura non più fuori dal terreno ma completamente al suo interno, possiamo vedere nella figura sotto più in dettaglio il progetto.
Andando a rompere il profilo del terreno voglio creare una zona pianeggiante con due sentieri di circa 50 centimetri ai lati per facilitare il calpestio, ma anche come zona di contenimento per l'umidità, il procedimento dovrà essere quello già intrapreso la primavera scorsa, con cartone sotto e poi vari strati solo che ora sarà tutto interrato, con questo accorgimento le verdure cresceranno omogenee in quanto non si verranno a creare zone critiche e siccitose e sicuramente avrò bisogno di molta meno acqua, inoltre una volta bagnato l'umidità si conserverà molto più a lungo.

lunedì 9 novembre 2009

EDIBILE

Non commestibile oppure commestibile, edibile, manducabile?
Zucche non commestibili, questo era il discorso, ma voglio partire un po’ più alla larga, come mio solito, preciso che quanto scrivo lo ritengo assimilabile solo alle verdure del mio orto in quanto so cosa uso per combattere i vari attacchi di insetti, funghi, ecc., cioè non uso nulla, tranne la raccolta manuale e l’estirpazione delle piante malate o infette in modo manuale.
Perché questa premessa?, semplice, facciamo un esempio: la carota, cosa usate di solito?, la radice, ma io vi assicuro che anche le foglie della carota sono buone e commestibili, ricche di vitamine e un sacco di altre cose, tralasciamo un attimo il come cucinarle, il mercato o meglio la filiera agroalimentare che fornisce le carote al verduraio o al supermercato, non prende in considerazione che si possano usare e pertanto le foglie potrebbero avere delle schifezze appiccicate, e magari non sono nemmeno passati i giorni di sicurezza per il consumo, quindi rischiate di rimanere intossicati non dalle foglie di carota ma da quello che si portano appresso. Quindi attenzione a cosa usate, rischiate di mangiare una montagna di chimica, che certo non vi aiuta a digerire!
Ora prima di proseguire prendete carta e penna e scrivete tutte le verdure che abitualmente consumate, senza barare, io da par mio scriverò alcune di quelle che comunemente troviamo dal verduraio.
Patate, carote, cipolle, sedano, porri, fagioli, piselli, pomodori, insalata, radicchio, pomodori, melanzane, zucchini, verze, cappucci, cavolfiori.
Dalla nostra lista possiamo notare che le verdure abitualmente usate sono molto poche, in realtà conosciamo e usiamo veramente poche verdure e di quelle conosciute usiamo il più delle volte solo una parte privandoci di fonti eccellenti di vitamine, sali minerali, fibre, ecc.
Parlavamo prima della carota, ma se prendiamo il porro è tutto commestibile comprese le radici filamentose e la parte verde delle foglie, ma voglio tralasciare questo argomento in quanto finiremo a parlare dell’energia sottile che queste verdure ci trasmettono.
Tutte le verdure si possono mangiare sia cotte che crude, non esistono verdure che non si possono mangiare crude, caso mai dovremo parlare circa le quantità, in quanto dosi massicce di qualsiasi tipo di verdura possono creare degli squilibri, a volte dosi elevate diventano tossiche per sovraccarico di alcuni elementi in esse presenti.
Sempre nell’argomento posso dire che quando vado nell’orto e il tempo è asciutto, raccolgo una carota, la sfrego con le mani e la mangio, non serve lavarla, ha solo tracce di terra attorno, il che non è molto diverso da quando sciolgo dell’argilla nel bicchiere e me la bevo, sempre terra è!
Forse sto facendo troppe premesse, ma mi sembra necessario, poi equipaje dirà per l’ennesima volta sono partito da Adamo e Eva.
Veniamo alle zucche, la stragrande maggioranza delle zucche si possono mangiare, tranne quella cosi detta della spugna e quelle usate come contenitori, in quanto hanno una buccia spessa e dura, quelle di Halloween è tutta una strategia commerciale, sono meno saporite, ma si possono mangiare, (se te le sei coltivate nell’orto di casa) su quelle coltivate “industrialmente” dubito non conoscendo come sono state coltivate (probabilmente usando delle enormi schifezze).
Generalmente queste zucche sono usate per l’alimentazione animale, ma vanno bene anche per gli uomini, sono solo meno saporite, ma questa è un’altra storia
Altra cosa da dire, che sicuramente farà girare le budella e anche qualcos’altro, se andiamo nel regno animale, quasi tutto è commestibile, basta guardare cosa mangiano i cinesi, dai cani ai serpenti, passando per altre cose che noi consideriamo schifezze, mai ci sogneremo di mangiare il cane e io mai consumerei il mio, ma con questo non vuol dire che non sia commestibile, noi mangiamo la carne di cavallo, gli inglesi no, in quanto lo considerano un’animale di compagnia alla stregua del cane.
Stessa cosa dicasi dei funghi, si possono mangiare quasi tutti (eccezion fatta per un paio), ma allo stesso tempo fanno tutti male, in quanto sono gli spazzini del bosco e tutte le tossine le raccolgono, qua parliamo di quantità, andrebbero sempre mangiati con moderazione, perché anche ingozzarsi di porcini non fa eccessivamente bene al nostro organismo.
Noi possiamo mangiare un’infinità di cose, fiori compresi, dalle viole alle primule, i fiori di boraggine, di zucca, d’acacia, su alcuni bisogna avere delle precauzioni in quanto se non si conoscono si rischia delle leggere intossicazioni come nel caso del sambuco in quanto ne esistono molti simili e si rischia di confonderli,c onfondendo la pianta.
Persino la nostra urina, avendo cura di scartare la parte iniziale e la finale è buona da bere, sicuramente meglio di tante acque che escono da certi acquedotti di città.
Qua si tratta solo di conoscenza, e tanto maggiore è, tante più cose si possono consumare, se vogliamo parlare di foglie o piante spontanee o ancora germogli, sono commestibili le giovani foglie di vite, i germogli dei rovi, la borsa pastore e potremo creare liste infinite di cose commestibili, che nessuno usa perché non le sa usare o perché non le conosce, piante come la bardana con una radice eccezionale è sconosciuta ai più, considerata un’erbaccia priva di valore, ma se cammini per la strada e la indichi tutti rimangono stupiti, in quanto tutti l’abbiamo vista ma non la conosciamo.
Questa visione anarchica dell’orto, in cui l’orto diventa tutta la natura che ci circonda, ci porta a una visione dell’uomo raccoglitore e molto poco coltivatore, in cui sparisce l’energia usata per zappare, seminare, innaffiare, coltivare, in quanto la natura cresce spontanea, fa tutto da sé, senza bisogno dell’ausilio umano, tutto questo ci porta a dover sviluppare la conoscenza di piante e luoghi per poter raccogliere.
La cosa più avvincente è andare per prati e boschi a raccogliere foglie, fiori, radici, germogli, frutti per poi cucinare quanto si raccoglie, non vi è molta differenza fra un piatto di foglie di spinaci saltate e uno di foglie d’ortica saltate, la differenza consiste in tempo ed energia usata per coltivare gli spinaci, (per l’ortica zero energia e zero tempo).
Ora non voglio angosciarvi oltre, perché se per caso viene un periodo di oscurantismo mi tacciano di stregoneria e non vorrei finire al rogo, e poi non vorrei che possiate pensare in caso di mia prolungata assenza dal blog che sono morto avvelenato.
Forse abbiamo spaziato troppo ma mi piace l’idea del raccoglitore anarchico al quale rimane tanto tempo libero per pensare. :)

domenica 1 novembre 2009

IL BOSCO

Oggi complice la bella giornata sono salito sul passo della Cisa, nel lembo più a nord della Lunigiana a scattare qualche foto e godere dei bellissimi colori che si vedeno in questo momento, una volta scaricate le foto, quella quà sopra è finita come schermo per il mio pc.
Vi sono dei gialli stupendi, dei meravigliosi rossi, che contrastano con il verde rendendo un'immagine da cartolina.
Scatto foto su foto e alla fine diventa difficile anche scegliere quali mettere.
Il mio pensiero va a Nicola che con i suoi batteri cerca di ricreare quello che qua avviene in maniera naturale, senza che nessuno ci pensi, per fortuna!
Bisognerebbe portare le persone a vivere in campagna, e non cercare di portare la campagna dentro la città.
Spero possiate godere attraverso queste foto degli stati d'animo che ho provato.
Un pensiero anche per Troppobarba, si cominciamo il periodo di buio, ma quà c'è ancora tanta luce.
Al ritorno guardo verso il mare, ma foschia, nebbia e nubi mi tolgono l'orizzonte, ma va bene così, ho rimirato la creazione dell'umus naturale.

sabato 31 ottobre 2009

STREGHE

Godiamoci questo scampolo dell’estate di San Martino, fin che dura!, godiamoci questi meravigliosi colori che ci regala l’autunno, gialli, rossi, un’infinità di calde tonalità.
Questo l’ho fatto io un bel cappello da strega in cioccolato fondente, passata la festa lo mangi e zero rifiuti, mentre con le zucche, abbiamo tonnellate di zucche che finiranno nei rifiuti, gettate, buttate, sprecate.
Questo l’hanno fatto i cinghiali, bel lavoro e adesso che si fa?, si piantano le patate, no!, troppo presto, la stagione non è quella giusta! Pazienza, fa parte dell’ecosistema, bisogna sopportare.
Ora veniamo al titolo “streghe” chi sono?, le nonne, le mamme, custodi della sapienza popolare, dell’uso di radici, foglie, piante, intrugli, pozioni che servivano a curare i malanni dei poveri, quel sapere popolare millenario che si è andato a perdere, oggi non conosciamo più le erbe, non le raccogliamo, non le usiamo, una conoscenza che si è persa. Perdendola, abbiamo perso qualcosa tutti, un vero disastro.
Questo il pensiero per la notte dell’orrore!!!, si dell’inutile orrore cercato a tutti i costi!!!, un’inutile notte di finto orrore!!!

venerdì 30 ottobre 2009

PENSIERI CHE VANNO, PENSIERI CHE VENGONO

Della serie il post che non ti aspetti, non soffro di prestazioni su quello che devo scrivere, perciò oggi facciamo una domanda amletica come tanto piace a Equipaje.
Radio, televisione, giornali tutti a parlare di trans, non che io abbia pregiudizi, ma non se ne può proprio più. Poi questo solo su televisione e giornali tutte queste donne rifatte, siliconate, che sembrano fatte con lo stampino, neanche avessero tutte lo stesso padre, basta non se ne può più.
Ma dico io la gnocca quella nostrale (e non me ne abbiano i trans)genuina, tette piccolemediegrossenonrifatte, la Gnocca con la G maiuscola, che quando la baci ha due labbra e non due canotti, quella che vanno bene anche sti piccoli difetti che fanno molto biodiversità, ma dico io, non va più di moda?
Ora solo trans e roba rifatta, io rivoglio la biodiversità, dobbiamo cercare di salvarla questa biodiversità, altrimenti quà va a finire male, si rischia l'estinzione.
Però quà si è solo presi dal salvare le biodiversità animali e vegetali, e poi pippe se mi scompare la gnocca, mica la possiamo sostituire con tutte queste materie plastiche che inquinano :)

giovedì 29 ottobre 2009

STUPEFACENTE

Guardo fuori della finestra, la luce va scomparendo, ormai è notte, mi sposto e vado a prendere una bottiglia, prendo il cavatappi, guardo l’etichetta, un rosso, 13 gradi, vino da meditazione, stupefacente.
Stappo la bottiglia, provo ad annusare il tappo, merda, non fanno più i tappi di una volta, tappo di plastica, che cazzo annuso, niente.
So per certo che la mia bottiglia contiene 5 bicchieri, ne verso uno, lo assaporo tutto, stupefacente, trovo una mescolanza di profumi e di sapori e mi lascio andare nei miei pensieri.
Vivo in un paese dove 3 sono le cose che hanno un rapporto di densità rispetto agli abitanti impressionante: le chiese, i bar e le banche.
Con le chiese non vi angoscerò, sono veramente troppe, per quanto riguarda i bar idem, quando uno qua non sa che cazzo fare, apre un bar, è sempre stato un paese strano, tanto che Castruccio di Castracani fece costruire una porta che divideva in due la città (così dicono i libri di storia, ma era e rimane un paese, una città è un’altra cosa) da una parte i Guelfi e dall’altra i Ghibellini, la porta aperta di giorno veniva chiusa di notte per impedire che si scannassero fra di loro, troppi i morti che si verificavano di notte.
E ora veniamo alle banche, ne abbiamo una ogni 750 abitanti circa compresi neonati e anziani con un piede dentro la fossa, non essendoci industria, a cosa serviranno così tante banche, boh…!
Mi verso un altro bicchiere di vino, lo butto giù così, scende nella gola che è un piacere, stupefacente.
Oltre alle tre sopra nominate, qua si consuma tanta, ma tanta coca, sarà la noia, sarà quel che sarà, ma è così che va il mondo, tanta gente tutta perbenino, eccola qua, trallala, trallala.
Se è buono questo vino, ne verso un altro bicchiere, mi aiuta a distendermi e pensare, stupefacente.
E allora penso, è stupefacente pensare, magari un nuovo orto, stupefacente, si un’orto stupefacente,
si con delle belle piante di maria, con dei bei papaveri doppi, che son sicuro crescono bene, ricordo che fra gli anni 70 e 80 sull’altopiano di Asiago hanno fatto un paio di sequestri di questi bei fiorellini, ma non a dei fricchettoni, no, a degli arzilli vecchietti che usavano i semi per metterli nel pane in perfetto stile tirolese. Si e poi una bella serra con le piante di coca e una in stile messicano per il peiote tanto caro a Castaneda, che bell’orto, stupefacente, poi con la mia conoscenza della chimica si fa il resto.
Un orto a Km 0, dove i clienti fanno la fila per ritirare la spesa, W la filiera corta, non spendi in pubblicità, ci pensa il cliente, non hai rimanenze, non hai scarto, per un’orto così ti arrivano i clienti anche da Milano, e poi, mi verso un altro bicchiere non si sa mai, si arrivano anche da Bologna e da Roma, si ma poi ti arriva pure la GdF e i CC, e allora come fare a spiegare che esistono le leggi che altro non sono che dei limiti e i limiti sono fatti per essere infranti, mi spiego meglio, colui che fa salto in alto e a il limite a sei metri cerca sempre si superarlo, mica salta più in basso.
Oddio, cazzo suonano il campanello, vuoi vedere che è la GdF che mi sequestra l’orto stupefacente appena pensato, ………………., no!, per fortuna è un mio amico, tiro un sospiro di sollievo, mi verso l’ultimo bicchiere di vino, tanto lui è astemio, lo guardo mentre bevo e lui nel frattempo si rolla una canna, e che cazzo, io non fumo, è meglio che apri la finestra.
La bottiglia è vuota, il vino ora fa il suo dovere e io medito chiudendo gli occhi e mi distendo nel divano.
Stupefacente.

mercoledì 28 ottobre 2009

ALIENI, NO,……..,GLOBALI

Stimolato ma al tempo stesso leggermente confuso da tutte queste discussioni su ailanto e piante aliene ho provato a ripercorrere la problematica partendo da un’altra angolazione, da un altro punto di vista, devo ringraziare gli spunti di Nicola con il suo ortodicarta, un ragazzo staordinario che spero un giorno di conoscere con un blog che è più un frullatore di idee, dove i commenti a volte sono delle vaccate ma a volte ti lasciano senza respiro in un crescendo continuo, ma più di tutti è lui Nicola con quegli spunti che mi fanno riflettere, punti di vista che stridono con quelli di altri naviganti del web, altro ringraziamento devo fare alla brava equipaje per la notevole discussione creata sul tema degli alieni (piante o bestie che siano), con i suoi post che non ti aspetti e compaiono là, ti incitano alla discussione e insinuano dubbi amletici a volte difficili da smatassare, un grazie a lei anche per aver dato risalto al libro di Marco Di Domenico, ottimo spunto di riflessione, e per ultimo un grazie ad Andrea che con il suo punto di vista sempre rivolto al passato quasi a non volersene liberare, un salvare il mondo antico a tutti i costi, che ricorda molto il mondo di mio nonno, un mondo ormai perduto, questo essere con un piede nel passato e uno nel presente, mi ha permesso di elaborare una mia visione forse più completa ma non esauriente sul problema di piante e animali alieni.
La discussione mi aveva fatto riflettere molto, poi guardo l’ailanto e qua dalle mie parti ritrovo piante di notevoli dimensioni o boschetti giovani, sempre e solo su terreni marginali, li tagli e ricrescono più fitti di prima,e allora riguardo il web le idee erano e sono contrastanti da chi vuole bombardarlo, eliminarlo in tutti i modi, questo alianto a chi gli dava o vuole dargli una via d’uscita, allora ho pensato di guardare indietro ma di un bel po’, e di analizzare la zone in cui attualmente vivo, la Lunigiana, un piccolo lembo di terra, una regione se vogliamo, che si estende dal mare agli appennini che arrivano a 1800 metri il tutto con ambienti molto diversi fra loro ma al tempo stesso molto vicini fra loro.
Spero che quanto dirò, o meglio la conclusione a cui voglio arrivare non scateni discussioni o polemiche a non finire odio avere commenti impegnativi a cui rispondere, :) no scherzo, solo che ho pensato cose forse scomode da digerire.
Primo pensiero che non centra nulla ma serve per arrivare alla questione, analizziamo il dodo, animale scomparso tempo addietro ad opera dei conquistadores portoghesi, la sua fine fu veloce circa 70/80 anni, oggi io sinceramente non ne sento la mancanza, per dirla fuori dai denti non mi importa niente se è scomparso, non mi interessa nemmeno la scomparsa dei dinosauri o dei mammut, chi è scomparso sono fatti suoi e non miei, il secondo pensiero lo tengo per la fine e qua parto con il mio ragionamento:
La lunigiana il cui confine settentrionale corre su un tratto di crinale appenninico compreso tra il passo due Santi e il passo del Cerreto essenzialmente formato da macigno dell’Oligocene, non presenta vette svettanti come la parte a sud con i profili frastagliati delle Apuane, ma monti massicci con scarsa differenza di quota fra passi e vette, dall’appennino scendono profonde valli scavate dall’azione millenaria delle acque di superficie. La vegetazione è ben distinguibile con fasce compatte che si susseguono sui versanti.
Abbiamo il cerreto-carpineto che si estende dai 500 metri e arriva ai 1100 metri d’altitudine con la presenza del carpino bianco, il tutto favorito dalla natura del terreno che deriva da macigno.
Vicino ai paesi abbiamo il castagneto che si estende dai 10 metri ai 1000 metri d’altitudine, in quelle zone dove l’acidità del suolo ne permetteva l’impianto, è la formazione boschiva più estesa che si è sostituita alla vegetazione originaria. Fino all’ultima guerra mondiale tutti i castagneti della zona erano costituiti da piante da frutto con alberi secolari innestati e questa cultura reggeva parte dell’economia lunigianese. I castagneti spesso impiantati audacemente in ambienti non adatti, sono stati aiutati con molte cure: potature, puliture del sottobosco, e talvolta anche con concimazioni. Quando queste cure sono venute a mancare, per le mutate condizioni sociali ed economiche, il castagneto è scomparso soprattuto dagli ambienti più sfavorevoli, e si può osservare il reinsediamento della vegetazione naturale. Molti sono stati distrutti dal cancro corticale, altri trasformati in ceduo proprio per far fronte alla virulenza del patogeno.
Il sottobosco del castagneto è composto da Calluna vulgaris, Genista pilosa, Pteridium aquilinum; piante eliofile presenti anche nel cerreto-carpineto.
La faggeta occupa la parte superiore fino ai 1700 metri, rare le fustaie, più diffuso il ceduo, che conserva nel sottobosco solo qualche pianta caratteristica: Prenanthes purpurea, Cardamine bulbifera, Geranium nodosum. Al di sopra della faggeta doveva estendersi in tempi remoti la pecceta, con abete rosso (Picea abies), ma il cambiamento del clima ne ha determinato la scomparsa, tranne tre relitti che ho scoperto alcuni anni fa. Per relitto intendo piante che hanno avuto una maggiore estensione nel passato. Il sottobosco però è rimasto a formare la brughiera a mirtilli, la specie dominante è il Vaccinium uliginosum, accompagnato da Empetrum nigrum, Vaccinium myrtillus, vaccinium vitis-idaea, Rosa pendulina, Alchemilla alpina, Geum montanum, Euphrasia alpina. La flora del tratto appenninico presenta pochi endemismi, ma conserva numerosi relitti di diversa provenienza. Tra le endemiche ricordiamo la Primula apennina che vegeta nelle fessure di macigno preferibilmente a nord a quote superiori ai 1500 metri, e la Globularia incanescens che arriva fino alle Alpi Apuane. Di notevole interesse è la presenza come relitto del Rhododendron ferrugineum presente nella brughiera a mirtilli, le stazioni relitte sono costituite da pochi esemplari, ma vigorose e con fioriture vistose. Sui detriti di falda del monte Malpasso e sotto il lago Verde troviamo il Geranium macrorrhizum, giunto dalla penisola balcanica risalendo l’appennino. Altre piante interessanti sono Salix herbacea, Rosa glutinosa, Rosa serafinii. Per quanto riguarda la flora possiamo individuare diverse vie di migrazione, alcune arrivate dall’arco alpino spinte dalle glaciazioni, altre dalla penisola iberica e altre ancora dall’oriente, e non mancano le mediterranee montane.
E ora un riferimento alla fauna passata. I ritrovamenti nella Grotta dei Colombi, sull’isola Palmaria, di faune di climi freddi, quali resti fossili di tetraonidi, lepre variabile, civetta delle nevi, ci confermano le caratteristiche di clima freddo accompagnato da uno sviluppo di foreste di conifere confermato dal ritrovamento di pollini fossili di molte specie di aghifoglie nelle torbiere appenniniche.
Ma se consideriamo i ritrovamenti di rinoceronti, tapiri ed elefanti nelle argille plioceniche di Pontremoli ed Aulla, allora possiamo renderci meglio conto di quali cambiamenti siano avvenuti a cavallo fra Terziario e Quaternario.
Questi cambiamenti climatici, se da un lato hanno prodotto un forte turnover di specie, con estinzioni e colonizzazioni, dall’altro hanno permesso la formazione di ecotipi e la sopravvivenza di popolazioni relitti in aree particolarmente adatte.
Ma se la ricostruzione faunistica e floreale del passato è ardua, legata com’è al ritrovamento casuale di pochi resti fossili in siti particolari, come torbiere e depositi d’argilla, ciò nonostante è utile per fare considerazioni di ordine evolutivo. Cioè che la flora e la fauna, come ogni elemento del nostro pianeta, non è fissa e immutabile, ma ciascun elemento si evolve e si modifica con propria scala spazio-temporale intrinseca, e in mezzo vi è anche l’uomo che contribuisce a questi cambiamenti. Dopo questa dotta e colta presentazione andiamo al secondo pensiero, l’orso bianco rischia di scomparire, se scompare pazienza, ne faremo a meno, la vita prosegue e va oltre, e come quando scompare una persona cara, un parente un amico, stai male, e sembra un vuoto incolmabile, la vita continua e anche se tra i 6 miliardi di persone che ci sono attualmente non c’è nessuno che lo sostituisce si continua ad andare avanti, la scomparsa dell’orso bianco o della tigre siberiana ricordano un po’ questo tipo di trauma, dovuto al fatto che non potremo più vederli, ma quanti di noi hanno realmente potuto godere della loro presenza in natura, pochi troppo pochi, la loro presenza l’abbiamo vista solo nei reportage televisivi confezionati ad hoc per un popolo di animalisti teledipendenti, ma a tu per tu non ci siamo mai trovati, lo stesso potrei dire con tanti altri animali al massimo visti allo zoo a al park safari, mai un’incontro a tu per tu nel loro ambiente, tutto questo pensare di salvare il mondo il pianeta di fare il bene dell’umanità a venire e del mondo mi sa molto di archetipo cristiano della visione del bene e del male, ma vaffanculo il bene, quale cazzo di bene per l’umanità, forse è la paura ancestrale che ci porta a questo tipo di pensieri, si cerca di evolversi in quell’attimo di tempo che viviamo e che contiamo in anni ma che non è nulla in confronto alla vita della terra o dell’universo, la nostra vita rispetto alla vita dell’universo è un’inezia.
Per finire Andrea dice e ci rammenta del gambero rosso della California che ha infettato le nostre acque, è vero, che dire: una volta andavo a pescare tra Verona e Rovigo e cosa trovavo, lucci, tinche e carpe, ora non più, neanche a pagarle in pescheria, bei tempi andati, piatti di pesci ormai perduti e allora sono tre anni che si va a pescare negli stessi posti e al posto dei rotanti, dei cucchiaini e del mais cosa mi posto? Delle ancorette con del gran fegato di maiale e li a prendere secchi di questi maledetti gamberi e poi a casa a pulirli e mangiali, cos’è cambiato, che il gambero e diventato lui ,la preda da pescare ed è anche buono da mangiare, forse potrebbe diventare il nuovo piatto dei poveri, che ne so, si cambia e ci si evolve cambiando abitudini e comportamenti, ricordo che in provincia di Vicenza una volta il baccalà era il piatto dei poveri, ora è diventato un piatto da ricchi con quel che costa.
Guardando la descrizione del succedersi del tempo in Lunigiana tutto è cambiato fra glaciazioni e disgeli, è cambiata la flora e cambiata la fauna, si sono rimasti dei fragili sistemi nicchie dei relitti che scompariranno, pazienza è l’evolversi del tempo. Forse la nostra paura più grande è la scomparsa degli uomini che camminano sul pianeta terra e magari resteranno solo delle nicchie o dei relitti in qualche parte del pianeta, ma la terra non scomparirà, cambierà, si evolverà, come e successo nei millenni trascorsi.
Andava bene riempire le valli di castagni, ma non si vuole l’ailanto, come dire va bene l’uomo bianco ma non voglio il nero, questo è essere razzisti, sia che si parli di persone o di piante, idem per gli animali.
Quel’inezia di tempo che viviamo che risulta essere impercettibile nella storia del mondo mi porta a pensare tutto questo.
Quanto scritto è il risultato di pensieri aggiunti in più momenti non ho voluto ne correggere ne cercare di renderli più uniformi, li ho lasciati così come sono venuti, testimonianza un po’ scarna e carente in certi punti, ma non volevo scrivere un libro, perciò perdonate le carenze.

domenica 4 ottobre 2009

TO DAY…(ovvero oggi, il presente)

A seguito dei precedenti post definiti pessimisti, forse cercano di essere realisti considerato che in Italia solo se in questo momento si va a puttane si riesce a essere ottimisti, o forse quel lieve senso di pessimismo è dato dal periodo, ricordo quel tale di nome Picasso che passò un periodo rosa e uno blu, ecco forse è proprio qua la risposta nel periodo, guardando l’orto vedo quei bei fiori blu dei carciofi e penso alla pubblicità “contro il logorio della vita moderna basta un ……., carciofo, se poi te lo infili su per il c--o scopri che ha le spine e a quel punto non pensi più al logorio della vita moderna. I gesti che noi facciamo oggi se li ritroveranno i nostri figli e i nostri nipoti tra molti anni, vedasi il caso di quel tale che abitando alla casa bianca si faceva fare i pompini e non prestava attenzione a quello che buttava sul prato di casa, poi passo uno che era interessato solo alla guerra e del prato di casa non gli interessava molto, ma dopo molto tempo arrivò una donna tutta abbronzata o che dir si voglia che penso di piantare un bel orto nel prato di casa e si scopri che quello dei pompini aveva reso il prato incoltivabile dal punto di vista mangereccio, ma tanto a noi che ci frega tanto mica dobbiamo coltivare le verdure sul prato della casa bianca e nemmeno mai andremo ad abitare in quel posto là.
Cambiando argomento ho notato ultimamente un certo interesse sulla discussione delle piante aliene, in particolare sull’ailanto e sempre oggi camminavo sovrapensiero pensando ai cazzi miei con la macchina fotografica fra le mani, quando mi sono imbattuto in una pianta di tagete e una di prezzemolo, ma cosa fanno in questo posto in mezzo a sassi e cemento non è il loro posto, nessuno li ha seminati e gli ha chiesto di crescere in quel maledetto posto, come avranno fatto, nessuno che le innaffiasse queste povere piante, nessuno che le curasse e loro sono cresciute la una specie di seme anarcoisurrezionalista, le ho fotografate e mi son chiesto?, ma non saranno mica aliene anche queste?, perché se così fosse visto che sono cresciute dove non dovevano chissà che non infestino il pianeta, si tutto tranne il mio giardino di 10 metri per 10 metri dove il famigerato tagete o conosciuto anche con il nome di garofano indiano non è riuscito ad attecchire, chissà quelli che abitavano la casa e usavano il giardino prima di me che cosa hanno combinato nel giardino, o magari i bombardieri americanirussicinesiindianiiraniani lo hanno bombardato con tutte le schifezze possibili e non riesco a farci crescere nulla o forse è colpa dei pini, ma chi se ne frega, intanto lo usano loro!
Passando ad argomento più serio per onor di cronaca ho fotografato l’orto lasagna era un po’ che non ne parlavo, ma gode di ottima salute,…., si lo so ……. c’è qualche buchino sulle foglie ma come ben sapete io non uso nessun tipo di protezione o trattamento ne chimico ne naturale, perché se le usassi sarebbe più semplice andare dal verduraio che tanto trovi sia le verdure BIO che quelle tradizionali (chimiche) e fai molta meno fatica, qua sull’orto lasagna penso che dovrò solo aspettare.
L’orto diversamente abile l’ho dovuto innaffiare e comincia a presentare i segni del declino della stagione, ultimi pomodori che a fatica stentano a maturare, sono rimasti solo dei porri, del sedano invernale e delle bietole che continuo a raccogliere, ma il suo destino è ormai segnato.
In un muro vicino a dei rovi ho scoperto questo, incredibile e ho pensato a Nicola e al suo ultimo post sull’orto permanente, qua però mi sa che siamo in piena anarchia cavoli che nascono dove gli pare, prezzemolo vedi sopra idem, qua regna e impera l’anarchia, le verdure sono uscite dagli schemi e fanno quello che gli pare, sono scappate dagli orti a radici levate, aiuto si salvi chi può, se continua così non avrò più bisogno ne di seminare ne di coltivare e tornerò a fare quello che l’uomo faceva agli inizi ovvero il raccoglitore e poi sai quanto tempo libero.
Altro argomento, le api ormai era veramente da tantissimo tempo che non effettuavo una visita come si deve all’apiario, la giornata come si vede non era delle migliori, un po’ di vento, qualche nuvola, ma chi se ne frega.
Visita alle arnie più che soddisfacente, le foto mi devo accontentare, con una mano la macchina fotografica, con l’altra il favo, covata magnifica su tutte e tre le casette, api in ottima salute, qua tutto bene, api tranquille, credo che si inverneranno bene viste le premesse, anche le scorte non sono male.

E per finire un tocco di neorealismo o futurrealismo, anche la natura fa quello che può, si adatta, scombinata dagli eventi, povera lumaca su un bidone arrugginito, ma forse è l’inizio dell’invasione sulla società industriale.
E il trascorrere del tempo lo vediamo in questa emblematica foto, un forno morto da tanto tempo, troppo tempo che fa sicuramente invidia a qualcuno che lo userebbe volentieri, portandolo a vita nuova e sfornando del buono e profumato pane fragrante fatto con la pasta madre.
Spero di non essere stato troppo noioso o lungo ma questo post mi è venuto così, era la giornata di sabato 4 ottobre trascorsa con la macchina fotografica fra le mani, un’ultima foto scattata giovedì primo ottobre emblema del vecchi e del nuovo, o meglio di ieri e di oggi, o di quel che volete i cavalli nel motore e le mucche nella strada.

venerdì 2 ottobre 2009

ORTI DI CRISI

Prendo spunto dal mio ultimo post che mi sembrava terminato in maniera spiccia, senza dare una mia visione della crisi, ma veniamo al titolo del post “orti di crisi” che ricordano vagamente quelli di guerra anche se con dei distinguo, ho voluto coniare questa nuova espressione in quanto credo saranno forse l’unica possibilità di sopravvivenza per molti, non importa se gestiti in modo sinergico, naturale, lasagna, il modo di gestione passerà in secondo piano e rimarranno solo e nient’altro che orti di crisi che potranno dare da sfamare a molti.
Ma tornando alla crisi e cercando di capire un pò meglio la situazione, quando parlavo dei piccoli paesi e delle piccole comunità come unico sbocco della crisi che ci aspetta, intendo una crisi che arriverà un pò alla volta alla spicciolata che sarà per molti ma non per tutti, quando inizia la crisi?, semplice quando perdi il lavoro, oggi la disoccupazione in Europa è al 9,6% un dato molto preoccupante, quando perdi la casa in quanto non riesci a pagare il mutuo, ecco questi già sono due momenti in cui la gente entra nella crisi, vi entra alla spicciolata, non possiede più il tenore di vita di prima, poi vi è un secondo indicatore il picco del petrolio che è entrato nella fase di declino, non illudiamoci, non sarà una cosa improvvisa, sara un lento scivolare con aumento dei prezzi a catena, continuo, tutto questo porterà la gente a perdere il tenore di vita attuale, sarà scivolare nella povertà, gli alimenti costeranno cari, l’energia costerà cara, le risorse del mondo finiranno in mano a pochi, e gli altri entreranno nella povertà, e dove c’è povertà là avremo anche il maggior numero di vite che andranno perse per denutrizione, con la denutrizione, si è più esposti alle malattie e considerando che le epidemie e pestilenze nel mondo sono continuamente andate e venute in un alternarsi ciclico, porterà a una diminuzione del genere unano sopratutto tra i più deboli.
In questa sintesi ristretta stà il concetto di orti di crisi visti come unico spiraglio di sopravvivenza, siano anche orti da balcone, potrebbero essere una delle poche fonti di cibo per molta gente.

sabato 26 settembre 2009

IERI, OGGI, E DOMANI QUALI INTERROGATIVI......?

Del passato sappiamo quasi tutto, quello che non sappiamo è perchè si è perso nella memoria del tempo, frammenti di ricordi sbiaditi, ingialliti dalle stagioni, di questi paesi dell’alto appennino lunigianese, carichi di storia, di racconti lontani e vicini. Preso un paese a caso, guardata la sua gente, raccontata la sua storia, si scopre che tutte le storie si intrecciano e si uniscono in un’unico racconto, fatto di sudore e di vita dura, quassù sull’appennino.
Scorrendo le foto che avevo fatto nell’estate del 2008 ho scoperto di aver fotografato lo stesso posto (Montelungo) riprodotto in due cartoline a distanza di quasi cent’anni (ringrazio l’amico Paolo e il suo sito salutidallalunigiana usati come fonte), e mi domando cos’è cambiato?, direi molto, per primo lo spopolamento, il paese nella foto ha ancora abitanti residenti stanziali, ma se ci spostiamo a destra o a sinistra del passo della Cisa non è difficile trovare paesi con 1 o 2 abitanti, a volte anche paesi completamente spopolati, senza più vita, paesi morti, che riprendono vigore solo nei mesi di luglio e agosto quando ritornano gli emigranti lontani, dalla Francia, dall’Inghilterra, dall’Australia, ecc., per passare le ferie.
Sono paesi di montagna appenninica ormai tagliati fuori in lento e continuo declino, la fascia di altitudine varia dai 650 agli 800 metri, paesi dove un tempo la vita scorreva febbrile, si coltivava un pò di tutto, dalla patata, all’orzo, segale, frumento, canapa, vite e un’infinita di altre cose, largo spazio aveva il castagno, tutto era ordinato sistemato, migliaia di muretti a secco a trattenere le terra da coltivare, prati ben tenuti su cui si andava a falciare il fieno, l’allevamento di bovini, ovini, caprini e vari animali di bassa corte.
Tutto questo oggi è solo un ricordo, lo spopolamento ha portato a un completo abbandono delle terre, prati che prima venivano falciati sopra i 1000 metri sono stati fagocitati dal bosco, le piante da frutto abbandonate al loro lento declino e senza più un ricambio stanno inesorabilmente scomparendo e quel poco che viene ripiantato sono ibridi che per la montagna sono inadatti, si sono perse le tracce di molte varietà antiche, stessa sorte è capitata agli animali domestici, vedi ad esempio la mucca pontremolese che soppravvive a se stessa solo grazie a poche decine di capi, forse 40 in tutto che sicuramente porteranno problemi di consanguineità con il rischi quasi certo della scomparsa della razza.
Neppure i selvatici si sono salvati da tutti questi cambiamenti, i cinghiali sono stati incrociati con razze più produttive e di mole maggiore, portando a problemi di sovrapopolazione che sembra innarrestabile, pur tifando per loro mi rendo conto che la caccia sia come tale che di selezione sia invitabile.
Il passaggio dell’autostrada ha tagliato fuori definitivamente alcuni di questi posti, lasciandoli a un oblio inesorabile e deturpando il paesaggio in maniera definitiva, ma anche questi costruttori dall’alto del loro infimo sapere hanno costruito ponti in posti riconosciuti franosi fin dal perdersi dei tempi, questo richiede una continua manutenzione dei ponti autostradali per cercare di tenerli bloccati sul posto e non vederli franare a valle, non si può dire che l’autostrada costruita quà sia stata un argume di ingegneria, già nel medioevo il paese di Montelungo fu raso al suolo da un’immensa frana che porto alla nuova ricostruzione sul versante a ovest rispetto a quello est dove vi è stata la frana, sulla quale vi è oggi un pilone del ponte dell’autostrada e andandoci sotto si può notare il lento e inesorabile scivolio del terreno verso valle, terreno quasi impraticabile a piedi a causa di fenditure profonde causate dallo scivolamento stesso.
Certo tutto questo declino dall’ieri a venire all’oggi porta una nota di tristezza è un perdere le radici uno scivolare via, solo i monti sono ancora là immutabili fermi e muti come un tempo, solo più boscosi, testimoni di un cambiamento, ma a questi punto la domanda è: il futuro di questi posti quale sarà?, anche alla luce dell’ormai imminente crisi mondiale che porterà cambiamenti epocali nel nostro modo di vivere, non è importante sapere quando questa crisi arriverà, se fra sei mesi, un anno o cinque anni, ma capire che cambiamenti porterà e se ci sarà un fututo per questi posti, per questi luoghi, comprendere se verranno cancellati per sempre, oppure se rinasceranno a nuova vita.
Sulla crisi in tanti pontificano, sull’inquinamento idem, su tutti i problemi del mondo in tanti pontificano, ma non è questo il problema, in tutto questo blaterare voglio cercare di comprendere se la montagna, questa montagna ci può salvare, assodato che la crisi sarà di tipo energetico e alimentare, fatti saldi questi due punti cerco di capire il futuro.
Sicuramente questi luoghi dal punto di vista dell’inquinamento hanno risentito in misura minore rispetto alle pianure o a luoghi adibiti a zone industriali o peggio ancora a discariche, quà possiamo dire che sia ancora un’isola felice a parte l’inquinamento globale che circola con l’aria e la pioggia cosa inevitabile a cui nulla si può fare per difendersi, sicuramente possono essere considerate zone di salvezza, dispongono di legname in abbondanza utilizzabile come conbustibile, il vento non manca quasi mai quindi sarebbe disponibile dell’eolico casalingo (io penso che piccolo sia meglio, ma per piccolo intendo quello della comunità non del singolo individuo), l’acqua non manca, anzi in quasta zona c’è l’acqua termale e si trova pure dell’acqua solforosa su questo argomento le varie amministrazioni succedutesi negli anni hanno buttato ormai migliardi di vecchie lire senza mai ottenere un risultato a parte delle opere incompiute lasciate all’incuria e al degrado del tempo del tempo.
L’aria quà è ancora salubre, anzi fino a pochi anni fà veniva gente in villegiatura per curare malattie respiratorie, perchè dico tutto questo?, semplice credo questo sia un luogo di fuga dalla crisi che verrà, recuperando la terra e lavorandola con nuovi concetti sul tipo di orti sinergici, orti lasagna, orti no-till per non andare a scipare quel substrato di terreno che in questi anni di abbandono si è andato a creare migliorando la parte superficiale del suolo.
Ripensado ad un nuovo modo di allevare gli animali sull’esempio di conigli allevati in garenna, recuperando l’allevamento naturale delle galline creando un ciclo chiuso del tipo uovo-pulcino-gallina, cercando di recuperare varietà rustiche adatte all’allevamento in montagna.
Recuperando il patrimonio di piante da frutto antiche che già ben si erano acclimatate e non necessitavano di tutti quei continui trattamenti con fittofarmaci per cercare di salvare i frutti, è preferibile un frutto piccolo magari con il rischio del verme ad un frutto grosso trattato chimicamente, non è che la chimica sparisca, penetra nel frutto e noi la mangiamo e sicuramente non ne trova giovamento la nostra salute.
Recupero dei castagneti e recupero della castagna come alimento, d’altronde guardando la vecchia cucina del luogo troveremo che era semplie ma varia, forse la salvezza è dietro l’angolo e non dobbiamo andarla a cercare chissà dove, basta andarsi a reinventare un nuovo modo di vivere, un nuovo modello e allora forse la nostra salvezza ci sarà, sicuramente andremo incontro a cambiamenti epocali che non saranno più le semplici domeniche a piedi degli anni 70, se non vorremo scomparire come le antiche civiltà sudamericane scomparse sotto la giungla dovremo reinventare un futuro nuovo pensando in maniera completamente diversa da quella attuale, guardandoci intorno a 360 gradi e il nostro guardare e pensare deve comprendere gli animali che ci circondano, i vegetali, la terra e il suolo, l’acqua, ma anche le piccole comunità locali che saranno quelle che ci permetteranno di sopravvivere alla catasrtofe prossima futura, dobbiamo cambiare attegiamento rispetto a chi ci circonda, ma sopratutto rispetto a ciò che ci circonda.
Per ora basta, altrimenti diventa un sermone, ma vorrei andare più a fondo del problema e capire in primo luogo per me quale sia la via di fuga che abbiamo ancora davanti e prenderla prima che sia troppo tardi, la storia ci ha insegnato molto ma noi sembriamo dei non vedenti, ci ostiniamo a non guardare in faccia la realtà.
Tutto è basato sui soldi, ma i soldi rischiano o forse lo sono già carta straccia, e la storia rischia di ripetersi, dover andare a fare la spesa con valigie piene di soldi che non valgono nulla come si verifico in Germania durante la guerra, qualcuno dirà che ora non c’è la guerra, è vero, ma forse le lotte, le ribellioni al potere non sono molto lontane e alla fine ci potrà sfamare solo la terra.
Ma potrebbe anche diventare troppo costoso comperare sementi ammendanti chimici insetticidi e il gasolio costare così tanto da far diventare antieconomico usare tutto questo, e si dovrebbe utilizzare un sistema di coltivazione diverso giocoforza, diventando artefici del cambiamento in maniera inconsapevole.
Abbandonare tutto quello che consuma troppa energia in questo momento potrebbe diventare, come diceva una canzone di alcuni anni fa:
Un gesto di rivolta, un gesto di rifiuto contro un’avvenire uguale ai molti “sconosciuto”.
Viviamo in un sistema fragile e basta un niente a farlo franare, forse la memoria è corta ma ripensando basto una nevicata a mettere al buio mezza Italia, questo dovrebbe servire da monito, imparare dai propri errori, ma a nulla è servito, bisogna prepararsi prima che sia troppo tardi!
Qua si rischia forse più di quanto si possa immaginare.

domenica 13 settembre 2009

USO, ABUSO E DISUSO

Vorrei parlare dell’uso, abuso e disuso del suolo, ovvero del terreno che sta attorno a noi, intanto cerchiamo di capire cos’è l’uso per poi poter andare a capire meglio il significato di abuso e disuso.
Uso, ovvero l’atto di servirsi di qualcosa, la sua utilizzazione, il suo impiego, utilizzo, o i suoi molteplici impieghi, nel nostro caso il suolo.
Non voglio inoltrarmi in discorsi troppi contorti e lunghi e forse di troppo ampio respiro perciò prenderò in considerazione l’uso del suolo per fare l’orto, qual è l’uso giusto tra i tanti modi di concepire l’orto, naturale, biologico, chimico, sinergico, lasagna, ecc. potremo descrivere decine e decine di modi ovvero concezioni di come usare il terreno per fare l’orto, troveremo per ogni sistema dei sostenitori che saranno pronti a difendere a spada tratta il loro modo di coltivare, convinti che il loro sia l’uso giusto del terreno.
Mi sorge una domanda, essendo molti in opposizione tra loro o meglio sistemi di coltivazione divergenti, qual è il vero uso, quello che non sconfina nell’abuso del terreno, se potessi contattare un orticoltore per ogni tipo o sistema di coltivazione, sicuramente non troverei nessuno che accetterà o si potrà convincere che il suo sistema sia un abuso del suolo o del terreno che dir si voglia, questi orticoltori, come tanti drogati non accetteranno di ammettere che sono cascati nell’abuso del suolo.
E’ chiaro che il discorso l’ho fatto sull’orticoltore ma avrei potuto farlo su chiunque usa il suolo, sia esso per coltivare, costruire o quant’altro, non pensiamo che l’abuso del suolo sia solo la discarica o la costruzione fatta nel posto inopportuno.
A mio parere l’uso del suolo sfocia molte volte nel suo abuso, il punto è che una volta smesso l’uso o l’abuso ne viene di conseguenza il disuso, che può essere più o meno devastante a seconda di quanto se ne è fatto prima, è un’illusione quella che si possa migliorare il terreno, lo si può solo trasformare a volte in meglio, a volte in peggio, a volte non si sa.
E’ un po’ il dilemma se è meglio un pane caldo e fragrante oppure del pane d’oro massiccio, dire che dipende dalle situazioni, il pane d’oro non ti sfama se sei in un luogo deserto e nemmeno ti serve a nulla se non lo puoi barattare con nessuno, solo in una società può avere valore, in quanto tale.
La terra sopravviverà a se stessa, l’umanità no. Ogni volta che noi muoviamo una zolla e creiamo movimento nel suolo ne facciamo uso, ma ci siamo mai chiesti quante volte ne abusiamo?,convinti che sia solo puro e semplice uso?
Vorrei terminare parafrasando una polemica che si accese in Spagna nella prima metà dell’800 su un giornale satirico circa il fatto se fosse meglio far colazione con la cioccolata o con le uova fritte, sperando di non aver fatto altrettanto con uso, abuso e disuso del suolo.
Lo scrittore Wenceslao Ayguals de Izco, sostenitore delle uova fritte, scrisse con grazia un sonetto che cominciava così:
“?No es, hermano, solemne disparate
preferir chocolate al desayuno?
?No es más estomacal, más oportuno
un par de huevos fritos con tomate?”
Divertente fu la risposta di Fray Gerundio, sostenitore del cioccolato, che usò lo stesso sonetto del suo antagonista modificando solo la punteggiatura e qualche parola:
“No es, hermano, solemne disparate
preferir chocolate al desayuno,
ni es más estomacal, más oportuno
un par de huevos fritos con tomate.”
Per la cronaca la disputa durò a lungo e vinse la cioccolata, la sentenza che ne decretò la vittoria diceva che paragonare le uova fritte alla cioccolata era come mettere a confronto il sidro con il nettare degli dei, la rustica patata con la manna, la prosa con la poesia e così via con un’infinità di iperbole care alla lingua dei Cervantes.
Spero di non creare dispute su uso, abuso e disuso.

mercoledì 9 settembre 2009

API – TRATTAMENTI SI, TRATTAMENTI NO

Ho parlato tempo fa della mia esperienza con le api, ma in quel periodo la varroa era ancora una problematica che non colpiva in maniera così diffusa come oggi, perciò oggi mi vedo costretto a sperimentare come sempre, leggo molto mi informo ma poi voglio fare le mie esperienze, voglio ragionare e capire il perché delle cose, il loro funzionamento i meccanismi che lo regolano. Purtroppo devo dire che ho commesso un errore di valutazione nella conduzione dell’apiario, dovuto soprattutto alla fatica di un ragionamento lucido nel mese di agosto stritolato da quel caldo che mal sopporto e distratto da letture di libri antichi che mi stanno spingendo ad andare alle radici dell’apicultura, che mi stanno trascinando in un vortice che mi riporta alle esperienze del 1700 e del 1800, tutto questo mi ha fatto balenare un’idea in testa che vedremo se poi prenderà forma e si trasformerà in qualcosa di concreto. Ma torniamo a noi e alle mie considerazioni, eravamo rimasti con una situazione di quattro alveari, un quello regalatomi che proviene da apicoltura biologica e ho deciso di proseguire con quest’alveare su questa strada per il momento, ovvero il trattamento con timolo per un periodo di quattro settimane, cosa che ho terminato domenica scorsa.
Il trattamento con il timolo avviene in questo modo, posizionando le barrette imbevute ai quattro lati sopra i telaini e capovolgendo il coperchio per creare una cassa d’espansione, è chiaro che in questa fase bisogna togliere i melari per non intaccare il miele.
Tutta questa operazione crea un gran trambusto nelle api, che portano a termine la covata esistente, ma si tende a rallentare se non quasi a fermare la deposizione della regina, la quale se continua a deporre lo fa solo nella parte bassa dell’arnia, al’inizio molte api ronzano attorno all’arnia e poi tendono a fare una barba esterna, perché sia efficace c’è bisogno che la temperatura sia abbastanza elevata altrimenti perdiamo l’efficacia del trattamento.
A terminare il tutto dovrò provvedere verso novembre quando non ci sarà più covata a un trattamento con l’acido ossalico.
La top-bar non ha ricevuto nessun trattamento e penso di contenere il parassita in maniera naturale, ed è sotto osservazione per questo motivo, ricordo che contiene uno sciame secondario di api inselvatichite.
La nota dolente riguarda lo sciame primario che avevo diviso a suo tempo, da una parte la regina che è ancora in piena attività e gode di ottima salute su cui non è stato fatto nessun tipo di intervento, mentre sull’alveare madre era nata la regina aveva cominciato a deporre e come da mia abitudine io ho bisogno di testare e di capire, volevo verificare che differenza d’abbattimento c’era tra le api inselvatichite e quelle cosi dette domestiche, purtroppo lo sciame non ha retto allo stress forse anche a causa della sua debolezza creata dalla divisione dell’arnia e la regina ha deciso d’andarsene con tutto il suo seguito e mi sono trovato con la casetta vuota di api e miele, un vero peccato in quanto non ho potuto terminare la mia verifica, anche se per una decina di giorni ho potuto accumulare dei dati in merito, non riscontrando una grossa differenza di caduta, anzi si equivalevano molto dall’estrapolazione dei dati, ovvero scarsa presenza di varroa.
Ma vediamo da dove nasce il grosso problema della varroa destructor, abbiamo una crescita esponenziale quando vi è della covata disponibile, in parole semplici ciò vuol dire che se partiamo da un individuo otteniamo questo diagramma: 1 – 2 – 4 – 8 – 16 – 32 – 64 – 128 – 256 – 512 – 1024 – 2048 – 4096 – 8192 questo ricorda la storiella della foglia che stava sopra al lago e si moltiplicava in maniera esponenziale, all’inizio non se ne fa molto caso, ma quando la foglia ha ricoperto la metà del lago, il giorno dopo ci ritroviamo con l’intera superfice invasa e infestata dalla foglia ed è troppo tardi per porvi rimedio. Il ciclo di riproduzione di questo parassita è di 10 giorni e fate voi due conti considerando che a fine febbraio abbiamo già la prima covata e proseguiamo fino alla fine di ottobre, vale a dire circa otto mesi di covata più o meno intensa e questo permette di raddoppiare il calcolo sopra riportato che è di 14 cicli, mentree nella realtà possiamo arrivare comodamente al doppio, da questo il senso del destructor, arriviamo ad avere più varroe che api.
Considerando che è stata scoperta negli anni 60 in giappone considerando la prima comparsa ufficiale in Italia nel 1981 e ad oggi avendo raggiunto anche le parti remote del pianeta possiamo a tutti gli effetti considerarlo una piaga o un flagello per gli apicoltori, tanti ad oggi sono i sistemi provati ma nessuno ne chimico, ne meccanico, ne naturale è riuscito a debellare il problema, perciò bisognerà imparare a conviverci.
A margine di queste considerazioni, l’alveare che mi era stato regalato ha avuto una resa di miele di 27 Kg non male direi, una parte l’ho già impastata con dello zucchero a velo e a fine trattamento con il timolo ho fornito l’impasto all’alveare per stimolare la deposizione e poter invernare un’arnia forte, essendo questa caratteristica la principale per permettere alle api di svernare nel migliore dei modi, in quanto un’arnia debole andrà incontro a morte certa.
A proposito il progetto di cui parlavo sopra è quello di poter costruire qualche arnia antica e popolarla, se qualcuno ha dei link, libri, opinioni, suggerimenti in merito è ben accetto.

domenica 6 settembre 2009

CHIAMALE PURE ILLUSIONI SE VUOI

Sul fatto di chi si china ….., è un attimo, ci ritornerò un’altra volta, il mal di schiena è sempre la in agguato la terra è bassa, se semini i fagioli bassi si lavora poco ma si fatica a raccoglierli, se si seminano i rampicanti e tutto un traffico di reti e pali ed è tutto un gran lavorare, ci dovrò ritornare su quest’argomento, per ora sono perso in cerca della realtà, perso fra mille illusioni, come nella foto qua sopra dove si confondono gli elementi, ma è solo illusione siamo sott’acqua e si creano strane immagini.
Questo è lo stesso posto visto da sott’acqua nella foto sopra, mentre in quella sotto la foto è scattata sopra l’acqua.
La temperatura è scesa leggermente in questi giorni, ma di acqua che cade dal cielo non se ne parla, per il momento si continua ad attendere, l’orto soffre, le api soffrono, gli animali del bosco soffrono, e io che faccio? Leggo attendo e spero, prima o poi arriverà la pioggia, nel frattempo ho inserito queste foto con l’elemento acqua come forma scaramantica, chissà mai che funzioni.

lunedì 31 agosto 2009

PAROLE SCOMPOSTE

Chi semina raccoglie
Chi raccoglie si china
Chi si china ……………., è un attimo.
Per scongiurare tutto questo, non resta che l’orto diversamente abile visto che si può seminare e raccogliere con la stessa comodità, per il prossimo anno lo raddoppio è veramente troppo comodo, lo avevo fatto per una persona che ha delle difficoltà, ma mi sono trovato veramente bene anch’io che le difficoltà le ho solo nei neuroni, pardon nell’unico neurone che mi è rimasto nel cervello che è anche rachitico (il neurone). Nel frattempo medito sugli errori commessi con le api, perché non sempre le cose vanno per il verso giusto è in preparazione un bel post anche su questo, perché sarebbe troppo facile parlare solo delle cose positive come fanno troppi blogger, io voglio parlare anche delle sconfitte da cui si può imparare molto per migliorare il futuro.

giovedì 27 agosto 2009

ULTIMI CALDI

Ultimo caldo che fa fondere la testa e manda in tilt il cervello!
Sto cercando di ordinare parecchio materiale sulle api ma rimando a clima più mite e penso, penso e sono giunto a una conclusione:
IL LAVORO NUOCE GRAVEMENTE ALLA SALUTE
Di lavoro si muore, di lavoro ci si ammala, di lavoro ci si consuma, di lavoro non si è mai arricchito nessuno, si arricchisce solo chi ti fa lavorare. Il lavoro è un dramma sociale!

domenica 23 agosto 2009

NANNI UN CONTADINO DEI TEMPI ANDATI OVVERO MIO NONNO (parte seconda)

LA CASA COLONICA

Ancor’oggi ricordo mio nonno con il suo inconfondibile cappello di panno marrone chiaro con la falda sgualcita avvolto nel pastrano nero sopra la sua bici, tutto ciò ne faceva una figura inconfondibile, un tutt’uno con la bici che al ritorno dal mercato oltrepassava il cancello imponente in ferro sorretto da due pilastri circolari con sopra due sfere tonde.
Oltrepassato il cancello la strada diventava sterrata e nei periodi di grandi piogge si riempiva di solchi e di buche che rendevano difficile il transito, alla sua destra si innalzava un piccolo colle tutto terrazzato a vite e sulla sommità vi erano ulivi e castagni che poi degradavano nella parte a nord.
Lo stradone come veniva chiamato percorreva buona parte del podere era tortuoso in lieve salita, ma in un punto la salita diventava veramente impegnativa ma breve, al sopraggiungere della casa vi era un sicomoro che nella stagione dava copiosi fiori, egli copriva un vecchi e antico forno a legna per il pane che veniva usato solo in rare occasioni, ma nei tempi passati il pane veniva fatto quotidianamente e se ne servivano in molti della zona del pane sfornato.
Un lieve tratto scosceso ci portava nell’aia grande e spaziosa sulla destra prima di entrarvi si trovava la grande concimaia o letamaio che su un fianco aveva un gabinetto tipo alla turca o meglio entravi c’erano due mattoni dove appoggiare i piedi e un foro circolare nel pavimento che finiva direttamente nella concimaia, unico gabinetto della casa al suo fianco iniziava il grande orto che correva su tutto il lato est dell’aia.
Sulla sinistra arrivando dallo stradone prima di entrare nell’aia iniziava la casa colonica questa parte di edificio era adibita a pollaio deposito attrezzi agricoli, vi era pure il posto per i maiali e nella parte superiore un sacco di attrezzatura coperta di polvere e ragnatele ferma nel tempo e non più utilizzata, questa parte di fabbricato copriva il lato sud dell’aia.
Per tutta la lunghezza dell’aia a ovest vi era un ampio ed enorme porticato in cui c’era di tutto, la legna tagliata, le balle di paglia, scale, cassette e su un pilastro si trovava la cuccia del cane di casa, nella parte a nord dell’aia si trova un porticato leggermente rialzato dove venivano ricoverati i carri trainati dai buoi, erano carri in legno con ruote in legno ma il battistrada in ferro essi differivano solo per la forma del cassone.
I pilastri che reggevano il tetto erano massicci in mattoni e sulla sommità di ognuno c’erano un paio di cassette per i colombi, dietro al porticato rialzato c’era la stalla con sopra il fienile, entrando dalla porta della stalla sul muro di fronte nel mezzo c’erano i buoi alti e massicci poderose bestie da lavoro, alla loro destra e sinistra le mucche, ai lati della porta sulla sinistra c’erano i vitellini e sulla destra le mucche pronte a partorire.
Era una stalla grande che dai racconti di mia madre durante la guerra ma ancor prima alla sera soprattutto d’inverno la gente si radunava a fare il filò ovvero a raccontare di fatti avvenimenti e storie, era una specie di televisione arcaica, e quando il freddo era tanto sedevano dietro alle mucche coricate intente a ruminare e appoggiavano i piedi sopra agli animali per scaldarsi, erano degli arcaici termosifoni.
Sulla destra nella parte centrale della stalla c’era una porta piccola che comunicava con una cucina carica di storia, aveva un acquaio antico di marmo rosa dell’altopiano immenso enorme e un camino altrettanto poderoso immenso sovrastato da una mensola di castagno annerito dal tempo e consumato dalle stagioni carico di storia, tra i due c’era una stufa, dal camino scendevano le grosse e nere catene che servivano a reggere le grandi pentole di rame, d’inverno era sempre acceso si cuoceva la polenta e il minestrone.
Un’enorme piattaia sovrastava l’acquaio al centro un enorme tavolo carico di storia, questa era la cucina del fratello di mio nonno, e una cucina carica di ricordi in quanto qua assieme al fratello del nonno caricavamo le cartucce nelle lunghe sere e lui mi raccontava storie di caccia, ma questa e un’altra storia ne riparleremo un’altra volta, andando innanzi alla fine della cucina si entrava in uno sgabuzzino che sul retro aveva un altro sgabuzzino con una botola che portava in cantina, questo sgabuzzino era pieno di gabbie con uccelli di tutti i tipi usati per la caccia, c’erano merli, tordi, montani, finchi, cardellini, un’enormità di gabbie.
Dal primo sgabuzzino una porta dava alla cucina di mio nonno, oggi la definiremo una vecchia cucina contadina, grande con il secchiaio di una volta vecchi cassoni per le farine un tavolo enorme, ma paragonata con l’altra sembrava quasi moderna.
Al piano superiore si saliva passando dalla cucina di Luigi in fratello di mio nonno era una scala in legno tutta scricchiolante, nel sottoscala avevano ricavato un ripostiglio di cose per la cucina c’era l’olio, il sale lo zucchero, la scala era ripida e portava a una specie di corridoio che percorreva tutta la parte nord della casa lasciando a sud le camere il pavimento era tutto di legno, in fondo a est c’era la camera di mio nonno era grande ampia spaziosa un grosso letto due comodini con sopra due piccole acquasantiere, mia nonna era molto religiosa, mio nonno non so sgranava dei rosari a volte con i buoi o al lavoro …. , nella stanza c’erano due enormi armadi in uno ricordo c’era un collo di volpe completo dalla testa alla coda con quelli occhi di vetro che faceva molto spavento a noi bambini, sopra a uno degli armadi c’era il fucile di mio nonno che però non usava, non era un cacciatore appassionato come suo fratello.
In un angolo della camera c’era uno di quei vecchi catini appoggiato a una struttura di ferro con tanto di brocca per lavarsi e uno specchio.
Percorrendo a ritroso il corridoio c’era la camera del fratello, poi un paio di camere ormai in disuso piene zeppe di cose cariche di storia e di tempo, infine l’ultima camera era quella di mia zia l’unica rimasta a quel tempo ancora da sposare, aprendo la finestra di questa camera si ammirava uno splendido pergolato di vite ampio enorme che copriva l’uscita della cucina di Luigi sotto il pergolato al fianco del porticato dove venivano ricoverati i carri c’era il cane da caccia di Luigi.
Salendo un’altra rampa di scale si giungeva al granaio, ampio e luminoso pieno di attrezzature.
La parte bassa della casa era riservata alla grande cantina piena di botti e di grandi tini, ricordo ancora la grande scodella usata da mio nonno la metteva sotto fa spina delle botti e poi mi faceva assaggiare un goccio di vino che mi lasciava dei grossi baffi rossi ai lati della bocca, mia madre non era d’accordo, ma lui diceva che un buon vino non aveva mai fatto male a nessuno, forse aveva ragione quello era ancora vino sano e genuino fatto con l’uva come si usava una volta.
Un ultimo ricordo legato a mia nonna che quando era il momento della mungitura mi dava un bicchiere e mi mandava nella stalla da mio nonno a farmi dare un bicchiere di latte, io andavo e ne ricevevo un caldo bicchiere colmo con sopra una leggera schiuma, il gusto e il piacere di bere quel latte appena munto direttamente dalle mammelle della mucca sul vetro del bicchiere aveva un gusto e un sapore che non ho più provato, qualcosa di indescrivibile, qualcosa di soave che oggi si e perso del tutto, e andato completamente perduto, oggi deve essere sterilizzato filtrato scremato, non è più lo stesso in questo abbiamo perso un immenso piacere, ringrazio mio nonno per avermelo fatto provare, grazie.