mercoledì 29 luglio 2009

NANNI UN CONTADINO DEI TEMPI ANDATI OVVERO MIO NONNO

Questo caldo di luglio mi fa oziare al fresco e mi tiene lontano dal pc, e ho tempo per pensare e fra le varie cose mi sono riaffiorati dei ricordi che risalgono a meta/fine anni 60 e ho deciso di raccontarli, sono ricordi di bambino piccolo che vedevano un mondo che oggi non c’è più e ricordano delle persone che da tempo se ne sono andate e prima che i ricordi si affievoliscano del tutto voglio raccontare la vita di mio nonno Nanni contadino vecchio stampo che lavorava i campi assieme a suo fratello.

LA STORIA
Nanni e suo fratello avevano in affitto un podere ai piedi delle Prealpi vicentine, coltivavano la vite, il grano, il mais e l’ulivo, allevavano mucche, maiali, galline e anatre, facevano un enorme orto, vivevano una vita semplice scandita dal ritmo delle stagioni, vivevano in una grande casa colonica con al centro un’enorme aia.
Si alzavano presto per mungere le mucche e poi andavano nei campi………
Inizio da qui il racconto che farò a puntate dedicando ogni puntata a un ricordo particolare.

IL MAIS
Il mais veniva seminato a mano in campi arati con l’aratro tirato dai buoi, seminato a file e quando cominciava ad essere alto 20/30 cm si andava a zapparlo per togliere le erbe infestanti e per diradarlo lasciando una sola pianta per ogni postarella, si avevano così delle file tutte regolari, ben tenute e inquadrate, ricordo che si ritornava a zapparlo quando era alto circa un metro e si toglievano le infestanti, sul lato a sud del campo si seminavano le zucche e sulla fila esterna che guardava a est piantavano dei fagioli che poi si arrampicavano sul mais.
Non veniva mai innaffiato in quanto non c’erano i mezzi e si accontentavano dell’acqua che scendeva dal cielo.
Era mais che diventava molto alto oltre i 2,5 metri, quando si erano formate le pannocchie, ma prima che la piante seccasse si passava a cimare le piante poco sopra le pannocchie, questo materiale serviva come alimento per le mucche.
Questa cimatura veniva fatta in più volte in modo da avere sempre alimento fresco per il bestiame.
Alla fine tutto il campo veniva cimato tranne la fila con i fagioli che rimaneva così fino al raccolto delle pannocchie che veniva fatto a mano passando tra le file e usando una specie di grosso e lungo chiodo si apriva l’involucro che conteneva la pannocchia per portarla alla luce, veniva staccata e messa in ceste che a mano venivano portate fuori dal campo per caricarle nel carro trainato dai buoi.
Il raccolto veniva fatto seccare nella parte alta della casa, un sottotetto che aveva la funzione di granaio vi si accedeva attraverso una ripida scala, un mistero resterà per me sempre quello di come avessero fatto a portare le varie attrezzature che si trovavano là sopra visto che erano abbastanza ingombranti e grandi e la porta non era di dimensioni tali da farle passare.
Ricordo che una volta seccate le pannocchie venivano sgranate con uno di questi marchingegni, ma una piccola parte di queste non so per quale motivo veniva sgranata a mano alla sera davanti al fuoco.
I torsoli restanti dopo la sgranatura venivano raccolti in sacchi e messi da parte per l’inverno e sarebbe servito per accendere più velocemente la stufa, era e rimane tuttora un ottimo combustibile.
La parte della pianta che rimaneva nel campo dopo la raccolta veniva tagliata e raccolta in fasci lasciati in piedi nel campo appoggiati fra loro in modo che non prendessero umidità, una volta finito il lavoro sarebbero stati portati a casa e usati come letto per le mucche.
Come dire la civiltà contadina di una volta del mais non buttava via nulla usava tutto e tutto riciclava.
L’uso del mais oltre che per la polenta che deliziava la tavola serviva per gli animali di bassa corte galline, faraone, anatre, tacchini, colombi, oche che riempivano di chiasso e schiamazzi l’aia.
Un’ultima nota riaffiora tra i ricordi, una parte dell’involucro che avvolgeva le pannocchie veniva usata per preparare dei materassi, niente a che vedere con i moderni materassi.
Oggi, il trattore ara, semina, distribuisce il diserbante mentre l’uomo dentro la cabina ascolta musica a tutto volume lanciata fuori a tutto volume da enormi casse acustiche, rinchiuso dentro la cabina al fresco dell’aria condizionata che profuma di pino o chissà che a causa del deodorante che penzola dallo specchietto retrovisore, poi squilla il telefonino si abbassa la musica, si parla di borsa, di mercati che salgono e scendono. Arriva il momento della mietitrebbia e tutto il mondo antico dai suoi ritmi lenti a misura d’uomo fatto di fatica e sudore che t’impregna la faccia, la maglia e una storia da raccontare si perde…….

lunedì 20 luglio 2009

MALEDETTO D’UN TASSO

Quando sono andato nell’orto per poco non mi veniva un colpo, c’erano circa 50 piante di patate estirpate e scavate, alcune file erano sparite completamente altre erano state tolte qua e là e si erano mangiati le patate novelle sotto, che dire dopo il primo mancamento ho iniziato delle solerti indagini per scoprire il colpevole.
Il cinghiale no, avrebbe lasciato dei buchi più profondi e non sarebbe riuscito a estirpare qua e là, lui non va per il sottile, lavora tipo catterpillar, l’istrice così in alto non l’ho mai visto e poi avrebbe lasciato sicuramente qualche aculeo, quindi lo scartiamo, mentre il tasso si, i danni sono proprio i suoi, che dire speriamo che cambi strada, va bene che le patate le vendono e non è obbligatorio piantarle, e come mi dice qualcuno poveretto deve vivere anche lui.
MA GIRANO LE P…E, UNO SI FA UN MAZZO E POI PASSA UNO UNA SERA E FA SPARIRE TUTTO.
Prendiamola con filosofia e pensiamo con cosa rimediare che pianto al posto delle patate defunte, magari qualche broccolo o …….

STEVIA

Nel numero di maggio/giugno della rivista “ingredienti alimentari” riservata all’industria alimentare è apparso un articolo di una mezza pagina abbondante in cui si parla della Stevia e degli esperimenti fatti con essa in Puglia, chissa che non sia la volta buona e che non si riesca a sdoganare questa pianta una volta per tutte!

giovedì 16 luglio 2009

MONDO DI CIALTRONI

Tra questo mondo di cialtroni e scansafatiche c’è sempre da imparare, questa foto l’ho fatta da un amico genovese, che altro che cialtroni ha buttato dopo aver pelato le patate le buccie nella compostiera e ……… hanno germinato, egli è in attesa delle patate, ha coniugato cialtronaggine risparmio qua rasentiamo la tirchieria ed anche l’autarchia.
Questa mi mancava ancora lo giuro, altro che orto nel balcone qua siamo avanti anni luce…..

martedì 14 luglio 2009

PORCINI, PORCINI, PORCINI

E’ tempo di funghi, che in questo periodo nascono abbondanti e anch’io vago per boschi a trovare queste prelibatezze, non è poi così difficile imbattersi in qualche bel porcino, anche se i migliori sono quelli che nascono a settembre perché quelli di ora tendono a fare i vermi e si prestano ad essere seccati per poi mangiarli durante l’inverno.
Questi sono degli esemplari su cui mi sono imbattuto, che dire niente sono finiti in un risotto, gli altri non li ho fotografati per non invogliare troppo la gente a venire qua per funghi, ci sono già troppi cercatori di funghi!!!!!
La passeggiata nel bosco è terminata davanti a questo torrente appenninico, ad ammirare lo scorrere dell’acqua e sentirne il suo rumore decisamente rilassante!
Mi viene quasi voglia di venirci a pescare, ma sarà per un’altra volta. Per ora mi godo il fresco, la pace e il bello di questo posto. Lontano dal caos delle città, lontano dalla confusione della gente…

ANTICO OSPITALE

L’incuria del tempo delle stagioni e degli uomini hanno reso un rudere questo che un tempo sulla via Francigena chiamata anche strada di monte Bondone nei pressi del passo della Cisa, faceva di questa costruzione (denominata il Palazzo) l’antico Ospitale, egli vide transitare molta gente pellegrini e briganti, ma si parla dell’anno mille troppo indietro nel tempo, fino a poco tempo fa questa costruzione era stata inghiottita del bosco, ora sembra che il nuovo proprietario voglia farla tornare a vivere come un tempo, …… ma solo il tempo ci dirà.
Per ora spettrale attende ai limiti del bosco il suo destino, ascoltando il vento che gli porta echi e racconti di tempi ormai perduti.

mercoledì 8 luglio 2009

API - LE RAZZE E COME LA VEDO IO

Un breve cenno sulle varie razze delle api, il genere apis conta diverse specie: apis mellifica o mellifera, apis dorsata, apis cerena, apis florea, apis indica.
Possiamo definire con il termine razza un gruppo che presenta un insieme di caratteri morfologici, funzionali e fisiologici simili e trasmissibili ereditariamente.
Andrò in dettaglio solo sulle razze europee appartenenti al genere mellifica e in particolare a quelle presenti in Italia.
Voglio fare una premessa, stiamo parlando di un insetto con un’intelligenza collettiva, che ben si adatta all’allevamento in cattività, do un breve esempio per chiarire quanto penso.
Se io allevo delle lepri devo usare degli accorgimenti in quanto è un’animale selvatico che attualmente non si riesce ad addomesticare, riesco a farlo riprodurre ma ho grandi difficoltà, se lo libero si riadatta immediatamente alla vita silvestre, mentre se allevo dei conigli è tutto molto più semplice in quanto è un’animale addomesticato, ma se decido di rimetterlo nella vita silvestre, ha molte difficoltà a reinserirsi e rischia di non farcela.
Questo banale esempio per capire la differenza che passa fra il selvatico e il domestico.
Quando parlo di api penso sempre a un animale (insetto) selvatico che si adatta all’allevamento da parte dell’uomo, ma può tornare alla sua vita originaria in qualsiasi momento.
Come sempre sostengo dobbiamo salvaguardare le specie autoctone per salvare le varie biodiversità e sono contrario a tutti gli incroci e mescolamenti di razze che si stanno tentando di fare per avere una maggiore produzione di miele o una maggiore resistenza alle malattie, i rischi di questa globalizzazione che si sta cercando di fare anche con le api non porteranno sicuramente a dei miglioramenti del miele anzi, sarà come per i sapori quello che mangi a Roma ha lo stesso sapore e gusto di quello che mangi a Londra a Tokio a Toronto e così via dicendo, altro rischio oltre alla perdita della biodiversità potrebbe accadere quanto già accaduto nel 1956 in Brasile dove partendo da un piccolo gruppo di apis mellifica Adansoni con la sciamatura di essi abbiamo assistito a ibridi che hanno africanizzato le api locali sostituendole e a passo di decine di km all’anno sono arrivate nel nordamerica e l’ibrido che ne è scaturito è risultato molto aggressivo, ma tralascio i commenti in quanto in materia già molto si è scritto.
Tornando alle razze di pertinenza nazionale menzioniamo l’ape italiana (apis mellifica ligustica) dai caratteristici segmenti dell’addome di color giallo oro. Presente in tutto il territorio nazionale, ha problemi di acclimatizzazione nelle regioni fredde e piovose. L’ape comune (apis mellifica mellifica) nota anche con il nome di ape nera o tedesca è presente nell’Italia settentrionale. E’ resistente ai climi freddi e piovosi. L’ape sicula ( apis mellifica sicula) Scura di colore e più piccola dell’ape italiana è presente in sicilia. L’ape carnica (apis mellifica carnica) leggermente più piccola dell’ape comune è presente sopratutto nel Friuli. E’ resistente al freddo, ma tende alla sciamatura.
Ogni apicoltore vi parlerà sempre bene delle proprie api dicendo che sono migliori di tutte le altre, e in parte ha ragione, in quanto va salvata la biodiversità e ogni ape autoctona si comporterà sicuramente in modo migliore di una importata che deve adattarsi a un clima e un ambiente il più delle volte diverso se non sfavorevole rispetto alla zona di provenienza.
L’apicultura come la intendo io deve guardare il benessere dell’ape e non il profitto e la resa di miele, non può essere tutto mercificato e quantificato in denaro, altrimenti i cani e i gatti che abbiamo in casa visti da una logica di solo denaro sono un’enorme costo, ma ci danno qualcosa che non è quantificabile e monetizzabile con il denaro la loro compagnia e questo è anche per le api che svolgono un lavoro di impollinazione che non è quantificabile in moneta in quanto l’impollinazione è vita perché senza di essa non avremmo i frutti!