sabato 26 settembre 2009

IERI, OGGI, E DOMANI QUALI INTERROGATIVI......?

Del passato sappiamo quasi tutto, quello che non sappiamo è perchè si è perso nella memoria del tempo, frammenti di ricordi sbiaditi, ingialliti dalle stagioni, di questi paesi dell’alto appennino lunigianese, carichi di storia, di racconti lontani e vicini. Preso un paese a caso, guardata la sua gente, raccontata la sua storia, si scopre che tutte le storie si intrecciano e si uniscono in un’unico racconto, fatto di sudore e di vita dura, quassù sull’appennino.
Scorrendo le foto che avevo fatto nell’estate del 2008 ho scoperto di aver fotografato lo stesso posto (Montelungo) riprodotto in due cartoline a distanza di quasi cent’anni (ringrazio l’amico Paolo e il suo sito salutidallalunigiana usati come fonte), e mi domando cos’è cambiato?, direi molto, per primo lo spopolamento, il paese nella foto ha ancora abitanti residenti stanziali, ma se ci spostiamo a destra o a sinistra del passo della Cisa non è difficile trovare paesi con 1 o 2 abitanti, a volte anche paesi completamente spopolati, senza più vita, paesi morti, che riprendono vigore solo nei mesi di luglio e agosto quando ritornano gli emigranti lontani, dalla Francia, dall’Inghilterra, dall’Australia, ecc., per passare le ferie.
Sono paesi di montagna appenninica ormai tagliati fuori in lento e continuo declino, la fascia di altitudine varia dai 650 agli 800 metri, paesi dove un tempo la vita scorreva febbrile, si coltivava un pò di tutto, dalla patata, all’orzo, segale, frumento, canapa, vite e un’infinita di altre cose, largo spazio aveva il castagno, tutto era ordinato sistemato, migliaia di muretti a secco a trattenere le terra da coltivare, prati ben tenuti su cui si andava a falciare il fieno, l’allevamento di bovini, ovini, caprini e vari animali di bassa corte.
Tutto questo oggi è solo un ricordo, lo spopolamento ha portato a un completo abbandono delle terre, prati che prima venivano falciati sopra i 1000 metri sono stati fagocitati dal bosco, le piante da frutto abbandonate al loro lento declino e senza più un ricambio stanno inesorabilmente scomparendo e quel poco che viene ripiantato sono ibridi che per la montagna sono inadatti, si sono perse le tracce di molte varietà antiche, stessa sorte è capitata agli animali domestici, vedi ad esempio la mucca pontremolese che soppravvive a se stessa solo grazie a poche decine di capi, forse 40 in tutto che sicuramente porteranno problemi di consanguineità con il rischi quasi certo della scomparsa della razza.
Neppure i selvatici si sono salvati da tutti questi cambiamenti, i cinghiali sono stati incrociati con razze più produttive e di mole maggiore, portando a problemi di sovrapopolazione che sembra innarrestabile, pur tifando per loro mi rendo conto che la caccia sia come tale che di selezione sia invitabile.
Il passaggio dell’autostrada ha tagliato fuori definitivamente alcuni di questi posti, lasciandoli a un oblio inesorabile e deturpando il paesaggio in maniera definitiva, ma anche questi costruttori dall’alto del loro infimo sapere hanno costruito ponti in posti riconosciuti franosi fin dal perdersi dei tempi, questo richiede una continua manutenzione dei ponti autostradali per cercare di tenerli bloccati sul posto e non vederli franare a valle, non si può dire che l’autostrada costruita quà sia stata un argume di ingegneria, già nel medioevo il paese di Montelungo fu raso al suolo da un’immensa frana che porto alla nuova ricostruzione sul versante a ovest rispetto a quello est dove vi è stata la frana, sulla quale vi è oggi un pilone del ponte dell’autostrada e andandoci sotto si può notare il lento e inesorabile scivolio del terreno verso valle, terreno quasi impraticabile a piedi a causa di fenditure profonde causate dallo scivolamento stesso.
Certo tutto questo declino dall’ieri a venire all’oggi porta una nota di tristezza è un perdere le radici uno scivolare via, solo i monti sono ancora là immutabili fermi e muti come un tempo, solo più boscosi, testimoni di un cambiamento, ma a questi punto la domanda è: il futuro di questi posti quale sarà?, anche alla luce dell’ormai imminente crisi mondiale che porterà cambiamenti epocali nel nostro modo di vivere, non è importante sapere quando questa crisi arriverà, se fra sei mesi, un anno o cinque anni, ma capire che cambiamenti porterà e se ci sarà un fututo per questi posti, per questi luoghi, comprendere se verranno cancellati per sempre, oppure se rinasceranno a nuova vita.
Sulla crisi in tanti pontificano, sull’inquinamento idem, su tutti i problemi del mondo in tanti pontificano, ma non è questo il problema, in tutto questo blaterare voglio cercare di comprendere se la montagna, questa montagna ci può salvare, assodato che la crisi sarà di tipo energetico e alimentare, fatti saldi questi due punti cerco di capire il futuro.
Sicuramente questi luoghi dal punto di vista dell’inquinamento hanno risentito in misura minore rispetto alle pianure o a luoghi adibiti a zone industriali o peggio ancora a discariche, quà possiamo dire che sia ancora un’isola felice a parte l’inquinamento globale che circola con l’aria e la pioggia cosa inevitabile a cui nulla si può fare per difendersi, sicuramente possono essere considerate zone di salvezza, dispongono di legname in abbondanza utilizzabile come conbustibile, il vento non manca quasi mai quindi sarebbe disponibile dell’eolico casalingo (io penso che piccolo sia meglio, ma per piccolo intendo quello della comunità non del singolo individuo), l’acqua non manca, anzi in quasta zona c’è l’acqua termale e si trova pure dell’acqua solforosa su questo argomento le varie amministrazioni succedutesi negli anni hanno buttato ormai migliardi di vecchie lire senza mai ottenere un risultato a parte delle opere incompiute lasciate all’incuria e al degrado del tempo del tempo.
L’aria quà è ancora salubre, anzi fino a pochi anni fà veniva gente in villegiatura per curare malattie respiratorie, perchè dico tutto questo?, semplice credo questo sia un luogo di fuga dalla crisi che verrà, recuperando la terra e lavorandola con nuovi concetti sul tipo di orti sinergici, orti lasagna, orti no-till per non andare a scipare quel substrato di terreno che in questi anni di abbandono si è andato a creare migliorando la parte superficiale del suolo.
Ripensado ad un nuovo modo di allevare gli animali sull’esempio di conigli allevati in garenna, recuperando l’allevamento naturale delle galline creando un ciclo chiuso del tipo uovo-pulcino-gallina, cercando di recuperare varietà rustiche adatte all’allevamento in montagna.
Recuperando il patrimonio di piante da frutto antiche che già ben si erano acclimatate e non necessitavano di tutti quei continui trattamenti con fittofarmaci per cercare di salvare i frutti, è preferibile un frutto piccolo magari con il rischio del verme ad un frutto grosso trattato chimicamente, non è che la chimica sparisca, penetra nel frutto e noi la mangiamo e sicuramente non ne trova giovamento la nostra salute.
Recupero dei castagneti e recupero della castagna come alimento, d’altronde guardando la vecchia cucina del luogo troveremo che era semplie ma varia, forse la salvezza è dietro l’angolo e non dobbiamo andarla a cercare chissà dove, basta andarsi a reinventare un nuovo modo di vivere, un nuovo modello e allora forse la nostra salvezza ci sarà, sicuramente andremo incontro a cambiamenti epocali che non saranno più le semplici domeniche a piedi degli anni 70, se non vorremo scomparire come le antiche civiltà sudamericane scomparse sotto la giungla dovremo reinventare un futuro nuovo pensando in maniera completamente diversa da quella attuale, guardandoci intorno a 360 gradi e il nostro guardare e pensare deve comprendere gli animali che ci circondano, i vegetali, la terra e il suolo, l’acqua, ma anche le piccole comunità locali che saranno quelle che ci permetteranno di sopravvivere alla catasrtofe prossima futura, dobbiamo cambiare attegiamento rispetto a chi ci circonda, ma sopratutto rispetto a ciò che ci circonda.
Per ora basta, altrimenti diventa un sermone, ma vorrei andare più a fondo del problema e capire in primo luogo per me quale sia la via di fuga che abbiamo ancora davanti e prenderla prima che sia troppo tardi, la storia ci ha insegnato molto ma noi sembriamo dei non vedenti, ci ostiniamo a non guardare in faccia la realtà.
Tutto è basato sui soldi, ma i soldi rischiano o forse lo sono già carta straccia, e la storia rischia di ripetersi, dover andare a fare la spesa con valigie piene di soldi che non valgono nulla come si verifico in Germania durante la guerra, qualcuno dirà che ora non c’è la guerra, è vero, ma forse le lotte, le ribellioni al potere non sono molto lontane e alla fine ci potrà sfamare solo la terra.
Ma potrebbe anche diventare troppo costoso comperare sementi ammendanti chimici insetticidi e il gasolio costare così tanto da far diventare antieconomico usare tutto questo, e si dovrebbe utilizzare un sistema di coltivazione diverso giocoforza, diventando artefici del cambiamento in maniera inconsapevole.
Abbandonare tutto quello che consuma troppa energia in questo momento potrebbe diventare, come diceva una canzone di alcuni anni fa:
Un gesto di rivolta, un gesto di rifiuto contro un’avvenire uguale ai molti “sconosciuto”.
Viviamo in un sistema fragile e basta un niente a farlo franare, forse la memoria è corta ma ripensando basto una nevicata a mettere al buio mezza Italia, questo dovrebbe servire da monito, imparare dai propri errori, ma a nulla è servito, bisogna prepararsi prima che sia troppo tardi!
Qua si rischia forse più di quanto si possa immaginare.

5 commenti:

Harlock ha detto...

Un bel punto sulla situazione :-)

Speriamo che non sia troppo tardi!

Da parte di mio padre, in provincia di Arezzo, avevano un castagneto con centinaia di marroni secolari, nel giro di qualche deccennio sono seccati quasi tutti. Nonostante il mio impegno per curarli e tenerli puliti, anche gli ultimi sono a rischio, non reggono il cambiamento climatico.

equipaje ha detto...

Mmm, che post malinconico questo, mi hai addirittura fatto venire in mente "Il mondo dei vinti" (N. Revelli).
E le tue domande son più o meno le stesse che si pone anche il buon Pallante in quel suo ormai famoso capitolo "Monasteri del terzo millennio" (anzi no, lui tenta di dare le risposte).

mauri ha detto...

@ HARLOCK il problema del castagneto è abbastanza complesso, non è solo un problema di cambiamento climatico è anche un problema di globalizzazione che ha portato nuovi parassiti e malattie e inoltre un problema di abbandono in cui sono stati lasciati per anni in quanto non più interessanti come coltivazione e non si è proceduto alla loro cura, un pà come la vigna se la lasci abbandonata alcuni anni, non puoi pretendere di arrivare là un'inverno guardarla, potarla e sperare di farci il vino il settebre successivo.
@ EQUIPAJE forse un pò di malinconia mi è venuta vedendo l'estate andarsene ma cerco di essere realista e nel mio piccolo essere pronto, meglio essere consapevoli di quanto capiterà, i presagi non sembrano portare nulla di buono perciò il post non poteva che avere una vena malinconica, consapevole che dopo ogni inverno arriverà la primavera!

Harlock ha detto...

Non c'è anno della mia vita (apparte i primi due o tre) che non sia stato almeno un giorno a raccogliere le castagne nel castagneto di famiglia :-/
Al di là delle malattie che sono evidenti, i castagni per alcuni anni sono stati curati e puliti, (non sono mai stati abbandonati del tutto) avevano ripreso forza e una buona produzione, ma negli ultimi anni la situazione e decisamente peggiorata, la causa è del caldo e delle scarse precipitazioni estive, è evidente dall'arricciarsi delle foglie nella parte apicale.

mauri ha detto...

Sicuramente i cambiamenti climatici han messo del suo, basti considerare che gli antichi romani quando andarono a conquistare l'attuale Inghilterra trovarono la coltivazione dell'olivo che poi è sparita e ora parlando con degli inglesi stanno tornando a piantarli, più cambiamento climatico di così, dispiace per i tuoi castagni, ma è un insieme di concause.