Come ho già scritto, ma lo ribadisco io vivo in Lunigiana, una zona molto bella che ha il pregio di avere l’unico miele DOP d’Italia, o meglio ha due mieli tutelati da questo marchio, il miele d’acacia e quello di castagno, ma visto quello che scrivevo sopra circa il miele, verrà da chiedersi come mai sposto il discorso su una specie di nonsenso .........., è presto detto, tutte le medaglie hanno un rovescio e a volte peggiore del lato visibile.
Avere il riconoscimento di miele DOP è sicuramente un valore aggiunto, ma questo ha comportato dei risvolti negativi circa l’apicoltura il Lunigiana, una ricerca forsennata di produzione, uno spremere le api per avere maggior miele da vendere e un incremento di nomadisti che spostano i loro apiari in questa zona per poter avere anche loro del miele DOP con un valore aggiunto (in denaro) da vendere, tutto questo ha portato come conseguenza negativa un aumento delle morie di api, imputabili a più fattori, uno probabilmente dovuto all’alimentazione, si tende a togliere più miele possibile e poi si da come alimento del candito o cose simili, questo non può far altro che rendere più vulnerabili e indebolire gli alveari, in quanto si somministra un’alimentazione non consona all’ape esponendola alla possibilità di contrarre più facilmente malattie e virus vari, creando situazioni con inverni difficili da superare per l’alveare.
Altra conseguenza negativa che si è venuta a creare è l’aumento del nomadismo, che ha portato ingenti quantitativi di alveari nella zona creando situazioni di maggiore possibilità concreta e reale circa la trasmissione di malattie, il nomadismo sotto un certo aspetto è un’apicoltura di rapina che crea benifici solo all’apicoltore nomade e lascia all’apicoltore stanziale gli eventuali problemi legati alle malattie che si porta appresso l’apicoltura nomade.
Un’ultimo aspetto che ha degenerato la situazione è stato anche l’incremento di alveari da parte degli apicoltori stanziali, i quali hanno forse o sicuramente guardato di più all’aspetto commerciale legato al miele e al suo potenziale di vendita che non agli alveari e alle api, creando situazioni con casette vecchie o fatiscenti, creando possibili focolai di malattie.
Tutte queste cose messe assieme hanno fatto si che apicoltori presenti nella zona si sono ritrovati alla fine dell’inverno appena passato (in alcuni casi) con una mortalità di alveari pari all’70%, 80% e alcuni anche al 90% e oltre, questo vuol dire distruggere l’apicoltura e non serve andare a guardare cosa succede in America pittosto che in Australia o Canada, è inutile andare a vedere le nuove malattie come quella del disorientamento che porta alla scomparsa degli alveari ............., con una condotta sciagurata, anche in una zona DOP si riesce a fare danni a non finire, se non si presta attenzione all’alimentazione (ovvero miele e non zucchero), alle malattie (in primis la varroa), allo stato della casetta (che non deve essere fatiscente) e non ultimo il benessere dell’ape, posizionandola in una zona non inquinata, possibilmente con poco o scarso traffico e lontano da ripetirori vari e a debita distanza dai cavi di alta tensione.
Solo rispettando queste elementari norme potremo pensare poi a un miele DOP.
Chi è causa del proprio danno è inutile che rivolga lo sguardo altrove.
E ora veniamo a me, i miei tre alveari si trovano due con melario e uno senza, se li avessi spinti durante la primavera avrei potuto essere su due melari in due casette mentre rimarrebbe incerta la terza in quanto ho una regina giovane nata in primavera ma che è stata a lungo dentro l’alveare senza fare il volo nuziale (forse per due settimane) a causa del tempo brutto e freddo che ha incontrato alla sua nascita, questo ha ritardato la deposizione (se avessi acquistato una regina l’alveare sarebbe uguale agli altri due).
L’alimentazione che ho usato in primavera a causa del brutto tempo è stato del miele che avevano prodotto lo scorso anno, miele rigorosamente delle mie api, proprio per eliminare la possibilità di importare malattie usando miele di altri, questo ha quasi azzerato la produzione dello scorso anno.
Potrei portare le api in basso durante l’inverno e aproffitare delle prime fioriture primaverili e poi dell’acacia per far progredire gli alveari, ma per i motivi che ho citato prima sono contrario al nomadismo e continuo a restare stanziale in quest’apicultura di frontiera, in alto, sull’Appennino quasi a sfiorare il cielo, lasciando vivere senza troppo interferire le api, non hanno di certo bisogno che io vada a crearli altri problemi, ne hanno già tanti.
Quest’anno sono senza la top-bar che ho perso durante l’inverno forse a causa dello sciame troppo debole a inizio inverno (anzi sicuramente, gli sciami troppo deboli andrebbero uniti a fine autunno).
Non mi sono dato da fare per cercare un nuovo sciame e ripristinarla, in quanto una casetta aveva dato evidente segno di voler sciamare, io a quel punto non avendo in quei giorni del gran tempo a disposizione la ho divisa a meta 5 telaini da una parte e 5 telaini dall’altra, quella dove c’era la cella reale che stava per schiudersi era l’arnia iniziale dove sono rimaste tutte le bottinatrici, ma a causa di quanto ho spiegato prima l’arnia è rimasta ritardata rispetto alle altre due, mentre quella con la vecchia regina è riuscita a portare il suo alveare a melario.
In questi giorni è brutto tempo, domenica c’erano 10 gradi a mezzogiorno e il più del tempo pioviggina, oppure piove sul serio, ma questo non mi preoccupa, quassù deve ancora iniziare il castagno e poi ci sono tante altre fioriture secondarie e le api in questo momento godono di ottima salute e questo la dice lunga.