LA CASA COLONICA
Ancor’oggi ricordo mio nonno con il suo inconfondibile cappello di panno marrone chiaro con la falda sgualcita avvolto nel pastrano nero sopra la sua bici, tutto ciò ne faceva una figura inconfondibile, un tutt’uno con la bici che al ritorno dal mercato oltrepassava il cancello imponente in ferro sorretto da due pilastri circolari con sopra due sfere tonde.
Oltrepassato il cancello la strada diventava sterrata e nei periodi di grandi piogge si riempiva di solchi e di buche che rendevano difficile il transito, alla sua destra si innalzava un piccolo colle tutto terrazzato a vite e sulla sommità vi erano ulivi e castagni che poi degradavano nella parte a nord.
Lo stradone come veniva chiamato percorreva buona parte del podere era tortuoso in lieve salita, ma in un punto la salita diventava veramente impegnativa ma breve, al sopraggiungere della casa vi era un sicomoro che nella stagione dava copiosi fiori, egli copriva un vecchi e antico forno a legna per il pane che veniva usato solo in rare occasioni, ma nei tempi passati il pane veniva fatto quotidianamente e se ne servivano in molti della zona del pane sfornato.
Un lieve tratto scosceso ci portava nell’aia grande e spaziosa sulla destra prima di entrarvi si trovava la grande concimaia o letamaio che su un fianco aveva un gabinetto tipo alla turca o meglio entravi c’erano due mattoni dove appoggiare i piedi e un foro circolare nel pavimento che finiva direttamente nella concimaia, unico gabinetto della casa al suo fianco iniziava il grande orto che correva su tutto il lato est dell’aia.
Sulla sinistra arrivando dallo stradone prima di entrare nell’aia iniziava la casa colonica questa parte di edificio era adibita a pollaio deposito attrezzi agricoli, vi era pure il posto per i maiali e nella parte superiore un sacco di attrezzatura coperta di polvere e ragnatele ferma nel tempo e non più utilizzata, questa parte di fabbricato copriva il lato sud dell’aia.
Per tutta la lunghezza dell’aia a ovest vi era un ampio ed enorme porticato in cui c’era di tutto, la legna tagliata, le balle di paglia, scale, cassette e su un pilastro si trovava la cuccia del cane di casa, nella parte a nord dell’aia si trova un porticato leggermente rialzato dove venivano ricoverati i carri trainati dai buoi, erano carri in legno con ruote in legno ma il battistrada in ferro essi differivano solo per la forma del cassone.
I pilastri che reggevano il tetto erano massicci in mattoni e sulla sommità di ognuno c’erano un paio di cassette per i colombi, dietro al porticato rialzato c’era la stalla con sopra il fienile, entrando dalla porta della stalla sul muro di fronte nel mezzo c’erano i buoi alti e massicci poderose bestie da lavoro, alla loro destra e sinistra le mucche, ai lati della porta sulla sinistra c’erano i vitellini e sulla destra le mucche pronte a partorire.
Era una stalla grande che dai racconti di mia madre durante la guerra ma ancor prima alla sera soprattutto d’inverno la gente si radunava a fare il filò ovvero a raccontare di fatti avvenimenti e storie, era una specie di televisione arcaica, e quando il freddo era tanto sedevano dietro alle mucche coricate intente a ruminare e appoggiavano i piedi sopra agli animali per scaldarsi, erano degli arcaici termosifoni.
Sulla destra nella parte centrale della stalla c’era una porta piccola che comunicava con una cucina carica di storia, aveva un acquaio antico di marmo rosa dell’altopiano immenso enorme e un camino altrettanto poderoso immenso sovrastato da una mensola di castagno annerito dal tempo e consumato dalle stagioni carico di storia, tra i due c’era una stufa, dal camino scendevano le grosse e nere catene che servivano a reggere le grandi pentole di rame, d’inverno era sempre acceso si cuoceva la polenta e il minestrone.
Un’enorme piattaia sovrastava l’acquaio al centro un enorme tavolo carico di storia, questa era la cucina del fratello di mio nonno, e una cucina carica di ricordi in quanto qua assieme al fratello del nonno caricavamo le cartucce nelle lunghe sere e lui mi raccontava storie di caccia, ma questa e un’altra storia ne riparleremo un’altra volta, andando innanzi alla fine della cucina si entrava in uno sgabuzzino che sul retro aveva un altro sgabuzzino con una botola che portava in cantina, questo sgabuzzino era pieno di gabbie con uccelli di tutti i tipi usati per la caccia, c’erano merli, tordi, montani, finchi, cardellini, un’enormità di gabbie.
Dal primo sgabuzzino una porta dava alla cucina di mio nonno, oggi la definiremo una vecchia cucina contadina, grande con il secchiaio di una volta vecchi cassoni per le farine un tavolo enorme, ma paragonata con l’altra sembrava quasi moderna.
Al piano superiore si saliva passando dalla cucina di Luigi in fratello di mio nonno era una scala in legno tutta scricchiolante, nel sottoscala avevano ricavato un ripostiglio di cose per la cucina c’era l’olio, il sale lo zucchero, la scala era ripida e portava a una specie di corridoio che percorreva tutta la parte nord della casa lasciando a sud le camere il pavimento era tutto di legno, in fondo a est c’era la camera di mio nonno era grande ampia spaziosa un grosso letto due comodini con sopra due piccole acquasantiere, mia nonna era molto religiosa, mio nonno non so sgranava dei rosari a volte con i buoi o al lavoro …. , nella stanza c’erano due enormi armadi in uno ricordo c’era un collo di volpe completo dalla testa alla coda con quelli occhi di vetro che faceva molto spavento a noi bambini, sopra a uno degli armadi c’era il fucile di mio nonno che però non usava, non era un cacciatore appassionato come suo fratello.
In un angolo della camera c’era uno di quei vecchi catini appoggiato a una struttura di ferro con tanto di brocca per lavarsi e uno specchio.
Percorrendo a ritroso il corridoio c’era la camera del fratello, poi un paio di camere ormai in disuso piene zeppe di cose cariche di storia e di tempo, infine l’ultima camera era quella di mia zia l’unica rimasta a quel tempo ancora da sposare, aprendo la finestra di questa camera si ammirava uno splendido pergolato di vite ampio enorme che copriva l’uscita della cucina di Luigi sotto il pergolato al fianco del porticato dove venivano ricoverati i carri c’era il cane da caccia di Luigi.
Salendo un’altra rampa di scale si giungeva al granaio, ampio e luminoso pieno di attrezzature.
La parte bassa della casa era riservata alla grande cantina piena di botti e di grandi tini, ricordo ancora la grande scodella usata da mio nonno la metteva sotto fa spina delle botti e poi mi faceva assaggiare un goccio di vino che mi lasciava dei grossi baffi rossi ai lati della bocca, mia madre non era d’accordo, ma lui diceva che un buon vino non aveva mai fatto male a nessuno, forse aveva ragione quello era ancora vino sano e genuino fatto con l’uva come si usava una volta.
Un ultimo ricordo legato a mia nonna che quando era il momento della mungitura mi dava un bicchiere e mi mandava nella stalla da mio nonno a farmi dare un bicchiere di latte, io andavo e ne ricevevo un caldo bicchiere colmo con sopra una leggera schiuma, il gusto e il piacere di bere quel latte appena munto direttamente dalle mammelle della mucca sul vetro del bicchiere aveva un gusto e un sapore che non ho più provato, qualcosa di indescrivibile, qualcosa di soave che oggi si e perso del tutto, e andato completamente perduto, oggi deve essere sterilizzato filtrato scremato, non è più lo stesso in questo abbiamo perso un immenso piacere, ringrazio mio nonno per avermelo fatto provare, grazie.
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